L’emendamento presentato da Enrico Costa e verosimilmente affidato alla coscienza dei parlamentari che potrebbero votarlo a scrutinio segreto domani, rappresenta un pericolo per la democrazia, ma anche per gli amici del presentatore.

L’emendamento alla Legge di delegazione europea se approvato vieterà la pubblicazione delle Ordinanze di Custodia Cautelare emesse da un gip su richiesta di una Procura. Questo divieto si iscriverebbe nel solco di quanto fin qui fatto per sostanziare il principio costituzionale della presunzione di innocenza, combattendo la “gogna mediatica”, l’anticipazione per via giornalistica del giudizio penale, che tante vite innocenti ha travolto in Italia.

L’argomento è purtroppo fondato perché spesso il “grilletto” è stato tirato in maniera irresponsabile, spietata e strumentale, adoperando in maniera impropria documenti delicati, che andrebbero sempre maneggiati con rigore e prudenza. La fondatezza di questo argomento è però utilizzata da anni per perseguire un fine pericolosamente esondante e cioè quello di contenere in tutti i modi la possibilità di conoscere quel che fa chi ha potere, la possibilità di poterne dare pubblica notizia, la possibilità di poterlo pubblicamente criticare.

La strategia di aggressione è simile a quella messa in campo contro le misure di prevenzione patrimoniali: buttare via il bambino con l’acqua sporca (a proposito: se qualche paziente lettore di questo blog fosse in possesso della memoria inviata dal governo italiano alla Cedu nell’ambito del procedimento 29614/16 “Cavallotti VS Italia” e volesse condividerla, mi farebbe un gran servizio!). L’armamentario per restringere progressivamente il diritto/dovere di informare e di essere informati si arricchisce di giorno in giorno, fino al recente tentativo di inserire nel regolamento europeo sulla libertà di informazione, la possibilità di intercettare i giornalisti per scoprirne le fonti, in nome della sicurezza nazionale (non che non si faccia già, intendiamoci, ma poterlo fare legalmente manderebbe un segnale intimidatorio tale da far impallidire la più temeraria delle querele “bavaglio”!).

Cosa si dovrebbe opporre a questo argomento?

Che una democrazia liberale e costituzionale come la nostra deve tutelare contemporaneamente beni giuridici diversi, anche quando siano parzialmente in conflitto tra loro. Nella questione che ci riguarda i beni giuridicamente meritevoli che entrano in conflitto sono proprio la presunzione di innocenza sul piano penale e la tutela della riservatezza della vita privata da un lato con il diritto/dovere di informare e la pubblicità del procedimento penale dall’altro (delle dittature non rimpiangiamo proprio niente).

Come bilanciare la tutela di questi beni? Come trovare cioè il punto di mediazione? Gettando sul piatto il bene primario della sovranità popolare, fondamento della nostra Repubblica, che presuppone un costante impegno finalizzato alla redistribuzione del potere (sennò tanto valeva tenersi re, regine, principi e baroni). Questo impegno impone a sua volta che la stampa sia libera di informare sulle condotte che riguardino soprattutto i potenti, che in quanto tali sono naturalmente tentati dalla possibilità di adoperare il potere acquisito per impedire che glielo si tolga, anche manipolando la realtà a proprio uso e consumo. Che la stampa sia libera di adoperare informazioni pubbliche, perché relative (in questo caso) ad un procedimento giudiziario in itinere, per raccontare fatti e circostanze e magari porre qualche domanda, è un fattore essenziale per evitare che la democrazia diventi un ring per pochi “cittadini-trust” e tantissimi “cittadini-popcorn”! Ha insomma a che fare con quel “ascensore sociale” tante volte invocato e che in Italia ha ormai il dinamismo di un bradipo (stanco).

Ma tutte queste cose Enrico Costa, di solida formazione liberale, le sa anche meglio di me. Ecco perché sospetto che in realtà si lavori a buttare via il bambino con l’acqua sporca, un po’ come quando tredici anni fa, sempre Costa si dava un gran da fare per il “legittimo impedimento” e c’era da chiedersi se l’intento fosse quello di preservare gli organi costituzionali o più banalmente Berlusconi dai processi.

Quella battaglia Enrico Costa la portò avanti con un altro protagonista del “garantismo” italiano: Michele Vietti, oggi presidente di Finpiemonte. Ecco, proprio Vietti dovrebbe accendere un cero in Chiesa, benedicendo la pubblicità delle Ordinanze di Custodia Cautelare, che l’amico Enrico vorrebbe segretare. Infatti proprio grazie all’ultima OCC contro la ‘ndrangheta a Torino, quella dell’inchiesta “Timone”, Vietti avrà potuto prendere urgenti ed adeguate contromisure, avendo letto di come un tale, fortemente indiziato di appartenere alla ‘ndrangheta, si vanti al telefono con un tizio, fortemente indiziato di essere a disposizione della ‘ndrangheta medesima, niente meno di aver quasi finito di costruire una RSA su mandato del “capo” di quest’ultimo, cioè appunto Vietti.

Robe dell’altro mondo! Millanterie di “muratori” dai quali stare alla larga.

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