La riforma costituzionale sul cosiddetto premierato “lascerebbe al capo dello Stato quei compiti che vollero dargli i padri costituenti, che il presidente ha dovuto meritoriamente allargare nel tempo per supplire a carenze della politica, tra cui la durata troppo breve dei governi”. È la tesi che Ignazio La Russa sostiene in risposta alle critiche sul ridimensionamento della funzione del Quirinale nel ddl varato dal governo: il testo – attualmente in discussione in Commissione Affari costituzionali al Senato – svuota infatti le prerogative più importanti del Colle nell’ambito della formazione e della crisi del governo, riducendolo a un ruolo sostanzialmente notarile. “Credo che i poteri del presidente della Repubblica non vengano modificati“, dice il presidente del Senato alla cerimonia di auguri natalizi con la stampa parlamentare, ripetendo il mantra usato più volte dalla premier Giorgia Meloni (e smentito da quasi tutti i costituzionalisti). Secondo La Russa, infatti, al momento è in vigore “una Costituzione materiale che amplia di fatto i poteri del capo dello Stato”, mentre l’elezione diretta del presidente del Consiglio, prevista dalla riforma, “potrebbe ridimensionare l’utilizzo costante di questi ulteriori poteri”, con un effetto che sarebbe “un atto di salute” per la Carta.

Parole più morbide rispetto a quelle spese sulla riforma dallo stesso esponente di FdI appena venerdì scorso dal palco di Atreju: in quell’occasione aveva detto che aver “voluto rendere accettabile” il disegno di legge costituzionale a “un maggior numero di forze politiche” sono solo “non lo ha migliorato”, ma addirittura “forse lo ha peggiorato“. “Io preferivo l’elezione diretta del capo dello Stato, ma capisco che c’è stato un tentativo di misurare la buona fede degli avversari politici, una speranza vana. Neanche se avessimo riscritto una Costituzione tanto cara al Pcus, sovietica, ai sovietici che sono tanti anche da noi, non sarebbe andata bene. Nessuna riforma passerà mai con i voti della gran parte delle opposizioni, allora tanto vale farla bene”.

Anche alla cerimonia di lunedì, però, la seconda carica dello Stato ha espresso “perplessità” su uno dei contenuti della riforma, la previsione di un secondo premier eletto nella stessa coalizione che possa prendere il posto di quello dimissionario o sfiduciato: “È una di quelle cose che derivano da un tentativo – credo del presidente del Consiglio – di essere il più aperta possibile verso la propria maggiornaza e verso gli altri”, dice. E apre a modifiche parlamentari del ddl, quasi auspicandole: “Non ho mai visto una riforma che arrivi alla fine con lo stesso identico testo. Sicuramente il dibattito parlamentare porterà a migliorare – speriamo non a peggiorare, a volte capita anche questo – il testo”.

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