Con la condanna del Tribunale vaticano nei confronti del cardinal Angelo Becciu a 5 anni e 6 mesi di reclusione si chiude la prima fase del processo più lungo e articolato che si sia mai celebrato tra le mure vaticane, una sorta di “processo del secolo” per il clamore mediatico, l’importanza delle cifre in ballo, il ruolo di papa Francesco. Il Tribunale, presieduto da Giuseppe Pignatone – la cui carriera nella magistratura italiana è più che nota – non ha accolto l’intera richiesta di pena presentata dal Promotore di giustizia Alessandro Diddi, sette anni e sei mesi, ma Diddi può dirsi, e infatti si dice, “molto soddisfatto” per il risultato ottenuto.

Le accuse contro Becciu – la cui difesa ha annunciato ricorso – e gli altri 9 imputati più quattro società, erano quelle di peculato, abuso di ufficio, appropriazione indebita, autoriciclaggio e il caso è ruotato soprattutto attorno alla compravendita del palazzo Sloane situato a Londra acquistato dal Vaticano per oltre 200 milioni di euro e su cui pesa una perdita di circa 140 milioni. Di mezzo una serie di condotte fraudolente che hanno visto un ruolo privilegiato del finanziare Raffaele Mincione (condannato a 5 anni e sei mesi), di finanzieri e di parte dell’apparato della segreteria di Stato vaticana. Il cardinale Becciu, che si è sempre professato innocente, era allora il Sostituto della Segreteria di Stato e quindi capo della sezione Affari generali che si occupa della gestione complessiva dello Stato più piccolo del mondo e che ha a disposizione una riserva finanziaria dell’ordine di centinaia di milioni di euro.

La sentenza del Tribunale e il comunicato – “Con la sentenza emessa oggi, dopo 86 udienze, il Tribunale ha definito il giudizio di primo grado del processo a carico di dieci imputati e quattro società, – si legge nella nota del Tribunale – che aveva ad oggetto plurime vicende la principale delle quali è nota con riferimento al palazzo sito in Londra, 60 Sloane Avenue”. “Il Tribunale ha ritenuto sussistente il reato di peculato in ordine all’uso illecito, perché in violazione delle disposizioni sull’amministrazione dei beni ecclesiastici della somma di 200,5 milioni di dollari, pari a circa un terzo delle disponibilità all’epoca della Segreteria di Stato. Detta somma è stata versata tra il 2013 e il 2014, su disposizione dell’allora Sostituto mons. Giovanni Angelo Becciu, per la sottoscrizione di quote di Athena Capital Commodities, un hedge fund, riferibile al dr. Raffaele Mincione, con caratteristiche altamente speculative e che comportavano per l’investitore un forte rischio sul capitale senza possibilità alcuna di controllo della gestione”.

Gli altri imputati – Il Tribunale ha quindi ritenuto “colpevoli del reato di peculato mons. Becciu e Raffaele Mincione, che era stato in relazione diretta con la Segreteria di Stato per ottenere il versamento del denaro anche senza che si fossero verificate le condizioni previste, nonché, in concorso con loro, Fabrizio Tirabassi, dipendente dell’Ufficio Amministrazione, ed Enrico Crasso”. Quanto all’utilizzo successivo della detta somma, servita – fra l’altro – per l’acquisto della società proprietaria del palazzo di Sloane Avenue e per numerosi investimenti mobiliari, il Tribunale ha ritenuto Raffaele Mincione “colpevole del reato di autoriciclaggio”. Ha invece escluso la responsabilità di mons. Becciu, Crasso Enrico e Tirabassi Fabrizio in ordine agli altri reati di peculato loro contestati perché il fatto non sussiste, “non avendo più la Segreteria di Stato la disponibilità del denaro una volta che esso era stato versato per sottoscrivere le quote del fondo”. Questo particolare fa venire meno una parte delle accuse del Promotore Diddi e spiega così la riduzione di pena. È stata dichiarata poi la colpevolezza di Enrico Crasso per il reato di autoriciclaggio per avere utilizzato “una ingente somma di oltre 1 milione di euro, costituente il profitto del reato di corruzione tra privati commesso in concorso con Mincione”.

In relazione invece al riacquisto da parte della Segreteria di Stato, nel 2018-2019, attraverso una complessa operazione finanziaria, delle società cui faceva capo la proprietà del palazzo già citato, il Tribunale ha ritenuto la colpevolezza di Torzi Gianluigi e Squillace Nicola per il reato di truffa aggravata e del citato Torzi anche per il reato di estorsione in concorso con Tirabassi Fabrizio, nonché per il reato di autoriciclaggio di quanto illecitamente ottenuto. Torzi, Tirabassi, Crasso e Mincione sono stati invece “assolti perché il fatto non sussiste dal reato di peculato loro ascritto in relazione all’ipotizzata sopravvalutazione del prezzo di vendita”. Tirabassi è stato, inoltre, ritenuto colpevole del reato di autoriciclaggio. Quanto a Tommaso Di Ruzza e Renè Brulhart, rispettivamente Direttore Generale e Presidente dell’A.I.F. (Autorità di Informazione Finanziaria), intervenuti nella fase finale del riacquisto del Palazzo di Sloane Avenue, “sono stati assolti dei reati di abuso di ufficio loro contestati e ritenuti colpevoli solo dei delitti di cui agli articoli 178 e 180 c.p. per omessa denuncia e per la mancata segnalazione al Promotore di giustizia di un’operazione sospetta”.

Le accuse per Becciu – Becciu è stato poi ritenuto colpevole anche per il rapporto con Cecilia Marogna la “dama del cardinale” a cui sono stati versati 575 mila euro dalla Segreteria di Stato, tramite una società a lei riferibile, la Logics con sede in Slovenia, “con la motivazione, non corrispondente al vero, che il denaro doveva essere utilizzato per favorire la liberazione di una suora, vittima di un sequestro di persona in Africa”. Denaro invece utilizzato per “acquisti voluttuari”, come dalla richiesta dell’accusa e che sono andati poi in scarpe, borse, hotel di lusso.

Monsignor Becciu è stato altresì ritenuto colpevole di peculato per aver disposto, in due riprese, su un conto intestato alla Caritas-Diocesi di Ozieri, il versamento della somma complessiva di euro 125.000 destinata in realtà alla cooperativa Spes, di cui era presidente il fratello Becciu Antonino. Pur essendo di per sé lecito lo scopo finale delle somme, il Tribunale lo ha considerato “un uso illecito degli stessi, integrante il delitto di peculato, in relazione alla violazione dell’art. 176 c.p., che sanziona l’interesse privato in atti di ufficio, anche tramite interposta persona, in coerenza – del resto – con quanto previsto dal canone 1298 C.I.C. che vieta l’alienazione di beni pubblici ecclesiastici ai parenti entro il quarto grado”. Tira un sospiro di sollievo Mons. Mauro Carlino, il segretario personale del Sostituto, che è stato assolto da tutti i reati a lui contestati.

I filoni del processo – Becciu, quindi, paga per i tre principali reati per cui è andato a processo. La compravendita da parte della Segreteria di Stato di un immobile di lusso a Sloane Avenue, a Londra con una perdita di circa 140 milioni di euro, un investimento che costituisce un caso esemplare di manipolazione, raggiro e utilizzo forsennato di fondi di investimento, transazioni, compensi, commissioni e poteri di firma pressoché illimitati. Per acquistare, e poi vendere, quell’immobile, Becciu ha autorizzato la sottoscrizione di quote del fondo Athena Capital Opportunities Fund che faceva capo al finanziere Raffaele Mincione sostenendo commissioni sproporzionate. Utilizzava i fondi dell’Obolo di San Pietro destinati ad attività con fini religiosi e caritativi. Le speculazioni effettuate tramite complesse operazioni finanziarie si sono poi tradotte in perdite milionarie per le casse della Segreteria di Stato. Oltre a questo Raffale Mincione, anch’egli condannato, aveva perseguito finalità personalità aggirando platealmente il conflitto di interessi.

L’affaire Marogna – Condannato poi per la vicenda “Marogna”, la manager che ha incassato 575mila euro finalizzati a pagare il riscatto di una missionaria cattolica, la suora colombiana Gloria Cecilia Narváez, rapita da jihadisti in Mali. Marogna, manager con presunti canali con i servizi segreti, aveva invece, secondo l’accusa, aveva ottenuto “indebitamente” quei fondi, passati attraverso la società da lei controllata, la Logsic con sede in Slovenia, destinandoli anche “ad acquisti voluttuari (borse, scarpe, soggiorni in hotel di lusso) incompatibili con i fondi della Segreteria di Stato”. Pesante anche la condanna per i fondi alla Diocesi di Ozieri e alla Cooperativa Spes rappresentata legalmente dal fratello Antonino che, se pure ha impiegato i fondi in maniera legale, ha configurato un rapporto poco chiaro e non nello spirito della cura contabile che richiede la gestione di fondi della Santa sede.

La difesa annuncia il ricorso – “C’è profonda amarezza nel prendere atto che l’innocenza del Cardinale Becciu non è stata proclamata dalla sentenza – dicono i legali del cardinale – nonostante tutte le accuse si siano rivelate completamente infondate. Le prove emerse nel processo, la genesi delle accuse al Cardinale, frutto di una dimostrata macchinazione ai suoi danni, e la sua innocenza, ci consentono di guardare all’appello con immutata fiducia”. “Abbiamo una solida certezza – sostengono ancora gli avvocati Maria Concetta Marzo e Fabio Viglione – che il Cardinale Becciu, fedele servitore del Papa e della Chiesa, ha sempre agito nell’interesse della Segreteria di Stato e non ha avuto per sé e per i suoi familiari alcun vantaggio”.

Il tribunale ha stabilito il contrario e infatti il Promotore di giustizia Alessandro Diddi, parlando con il Fatto, si dice molto soddisfatto: “Su 48 capi di imputazione, l’impianto ha ampiamente tenuto. Addirittura la richiesta di confisca, che è conseguenza dei reati, è superiore a quella chiesta da noi” conferma. La confisca dei corpi di reato contestati ammonta a 166 milioni di euro e si aggiunge al risarcimento danni quantificato in 200 milioni di euro. Qui si tratta di capire se il Vaticano potrà rientrare o meno delle risorse che gli sono state sottratte. I sequestri sono stati consistenti in molte parti del mondo e, a quanto risulta al Fatto, sono pari alla somma della compravendita, 200 milioni di euro. Occorrerà attendere però la conclusione dei vari gradi di giudizio.

“Quello che è chiaro è che la storia è stata completamente confermata” continua Diddi, “Mincione ha sfruttato la situazione, Torsi ha truffato e ha commesso un’estorsione nei confronti della Segreteria per Becciu, nel caso Marogna, è stato riconosciuto un reato più grave di quello ipotizzato: dal peculato si è passati a truffa aggravata”. “In particolare mi interessava non aver portato a giudizio persone innocenti. Non gioisco per le condanne, non vivo questo mestiere come se fosse una partita e non voglio entrare in dinamiche in cui sembra scontro agonistico”. Diddi non scompare dal processo perché essendoci in Vaticano un unico ufficio per tutti i gradi di giudizio, a sostenere l’accusa in appello sarà ancora lui.

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