Nomi e liste? Neanche a parlarne, prima i temi in vista delle decisive elezioni Europee, ripete da settimane la segretaria Pd Elly Schlein. Eppure, dal “Forum Europa: verde, sociale e giusta“, la due giorni organizzata a Roma dai dem in un enorme capannone sulla via Tiburtina accanto a degli studi televisivi, per lanciare di fatto la campagna elettorale, il dibattito interno e i convitati di pietra non mancano di certo. Perché se dal palco interviene Paolo Gentiloni, il commissario agli Affari economici, ora invocato come possibile ‘federatore’ del campo progressista, ora come carta da giocare per i prossimi ruoli di vertice in Europa, così come invocato dalle minoranza in chiave anti-segretaria, chi manca è un altro nome che torna a circolare, quello dell’ex premier Mario Draghi.

Era stata la stessa Schlein a mostrare freddezza rispetto alla proposta portata avanti dal presidente francese Emmanuel Macron, che lo vorrebbe al vertice della Commissione Ue. “Il Pd fa parte del Partito socialista europeo, sceglieremo insieme qual è il nostro candidato alla presidenza della Commissione Europea. Draghi? Non mi sembra che appartenga alla famiglia socialista europea“, aveva tagliato corto la segretaria dem, non senza irritare le minoranze interne che non avevano gradito la chiusura netta.

Così, dalla convention romana del Pd, il nome torna a fare ombra in casa dem. “Se mi ha convinto la segretaria su Draghi? È una figura che è stata certamente ed è protagonista nella politica europea”, replicata al Fattoquotidiano.it Lorenzo Guerini, esponente di riferimento della minoranza interna ai dem. Che aggiunge: “Le sue decisioni credo che abbiano dato un impulso fondamentale in passaggi decisivi per l’Unione Europea e credo possa farlo anche in futuro. Dopo di che non lo tirerei per la giacca e non lo invischierei nel nostro chiacchiericcio”.

Andrea Orlando, deputato della maggioranza Pd, invece, non liquida l’ex presidente del Consiglio, ma lo immagina in altri ruoli, seppur di vertice: “Dobbiamo distinguere: nel quadro della scelta del presidente del Consiglio Ue naturale che tra i nomi che possono essere giocati un nome italiano è un nome che deve essere assolutamente sostenuto”. Ma, precisa, diverso è il discorso “per la Commissione: la partita si gioca in un rapporto con le altre forze politiche e i socialisti devono lavorare perché alla guida della Commissione vada un socialista. Ci sono nomi che circolano di grande livello”.

Come quello di Nicolas Schmit, commissario europeo per l’occupazione, gli affari sociali e l’integrazione, già protagonista della direttiva sul salario minimo, che per Orlando sarebbe “sicuramente una candidatura che darebbe un segnale molto forte. È stato un commissario che si è molto speso sulla costruzione del pilastro sociale, che io credo debba essere un po’ la nostra bandiera”.

Certo, c’è ancora tempo e la partita vera si giocherà dopo il voto di giugno, in base ai risultati. Già all’ultima tornata il nome scelto dal Pd e dalla famiglia socialista, Frans Timmermans, candidato ufficiale del Pse, venne sacrificato in base agli accordi all’interno del Parlamento di Bruxelles, costretto a fare un passo indietro a favore di Ursula von der Leyen sostenuta dalla larghissima maggioranza europeista. La stessa von der Leyen che ora la maggioranza dem scarica: “Se non fosse un socialista, francamente mi auguro che si possano costruire delle alternative. E che sia una personalità che rimetta al centro anche il tema della pace”. Altro tema ancora divisivo in casa dem, tra Rosy Bindi che chiede più coraggio “per le armi della pace, la via politica e diplomatica” e Paolo Gentiloni che invece, contestando il rinvio sul bilancio Ue, avverte: “Si parla molto di autonomia strategica dell’Ue che oggi vuol dire sostegno economico, militare all’Ucraina, senza i tentennamenti che abbiamo avuto stanotte”.

Ma è pure sul contributo dei socialisti e del Pd in Europa che prosegue lo stesso intervento dal palco del possibile ‘federatore’. “La nostra è una vocazione europea. Guai a vedere il nostro contributo come una pennellata di rosso in un edificio guidato da qualcun altro. Noi guidiamo l’edificio europeo, lo abbiamo fatto sempre, fa parte della nostra storia. Una sinistra europea di governo”.

Schlein lo abbraccia all’arrivo, poi applaude il suo intervento, anche quando parla della “giornata storica” sull’avvio dei negoziati per l’ingresso dell’Ucraina nell’Ue e spiega che proprio il tema dell’Ucraina sarà spartiacque nella campagna per le europee, in quanto marcherà la divisioni tra europeisti e nazionalisti. Prima di fuggire via, senza rilasciare alcuna dichiarazione ai cronisti.

Schlein invece attacca e bolla la manovra dell’esecutivo come “iniqua” e piena di “mance”, liquidando il governo come “fragile”, in una sfida a distanza con Atreju, la festa di FdI che dista non troppi chilometri. Convinta che l’esperienza di Meloni a Palazzo Chigi non durerà a lungo. “Ci sono altre forze in cui c’è un capo o una capa che decide. Noi invece costruiamo un progetto per rendere migliore il futuro delle persone e lo facciamo insieme”.

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