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“Il suicidio di Luigi Tenco? Un colpo di teatro non riuscito, come se volesse imitare me: spararsi e restare vivo”: le parole di Gino Paoli

Ma chi era davvero Tenco? “Un gigantesco cazzone. Divertentissimo. Adorava gli scherzi”, dice Paoli al Corriere della Sera, senza nascondere però la tensione che innescò la relazione tra il collega e Stefania Sandrelli. “Luigi mi telefonò: ‘Sono a letto con Stefania’. La presi malissimo e ruppi con entrambi. Se non l’avessi fatto, lui sarebbe ancora vivo. Quella sua telefonata non nasceva da una vanteria maschile, ma da un senso di protezione. Tenco era legatissimo alla mia prima moglie, Anna. Era il suo modo di dirmi che Stefania non era la donna giusta per me”

di Francesco Canino

Il tentato suicidio, i grandi amori della sua vita – dalla Vanoni alla Sandrelli -, la dipendenza dall’alcol, i pugni dati e presi. È un viaggio ipnotico l’intervista che Gino Paoli ha concesso al Corriere della Sera, ripercorrendo alcuni dei momenti chiave della sua vita, bivi e incontri inaspettati, come quelli che racconta nella sua biografia, Cosa farò da grande, appena uscita per Bompiani.

GINO PAOLI RACCONTA IL TENTATO SUICIDIO
L’intervista di Aldo Cazzullo non poteva non prevedere un lungo passaggio sul tentato suicidio di Gino Paoli, che nel 1963 si sparò al cuore. “Avevo tutto, e non sentivo più niente. Le due donne più belle d’Italia, Ornella Vanoni e Stefania Sandrelli, erano innamorate di me. In garage avevo una Porsche, una Ferrari e una Flaminia Touring. Cos’altro potevo avere? Volevo vedere cosa c’era dall’altra parte”, ricorda il grande artista. Ma perché si sparò proprio al cuore? “Provo con i barbiturici, il Nembutal, annaffiati con il calvados, ma non mi fanno niente. Penso di gettarmi di sotto; ma non voglio dare a mia madre il dolore di vedere un figlio straziato”, spiega Paoli. A quel punto si ricorda di avere due pistole, fa le prove sparando con la Derringer calibro 5 dentro un libro bello spesso e veda che il proiettile entra in profondità: “Così mi corico sul letto, e mi sparo. Non alla testa, sempre per non dare quel dolore a mia madre. Al cuore”. Il proiettile si fermò però nel pericardio e a sessant’anni dopo è ancora lì: “Mi tiene compagnia; ha anche smesso di suonare al metal detector. Meglio così. Ogni volta spiegavo: ho una pallottola nel cuore. E nessuno mi credeva”. In ospedale a trovarlo vanno Rita Pavone e Teddy Reno mentre Ornella Vanoni “passò di notte, per non dare nell’occhio. Nel corridoio Luigi Tenco ripeteva sconsolato: non si fanno queste cose…”.

LA MORTE DI TENCO? UN COLPO DI TEATRO NON RIUSCITO
A proposito di Luigi Tenco, una delle frasi più forti dell’intervista riguarda proprio il cantautore e il suicidio nel gennaio del 1967, a Sanremo. Secondo Paoli si trattò di “un colpo di teatro non riuscito. Come se avesse voluto imitare me: spararsi, e restare vivo”. Ad innescarlo, sarebbe stata anche una droga arrivata dalla Svezia, il Pronox, “che ti dava un senso di sdoppiamento, come se non fossi più responsabile di te stesso”. Paoli ricorda di essersi precipitato a Sanremo appena saputa la notizia: “Il festival andava fermato; e se fossi stato in gara sarei riuscito a fermarlo. Incontrai Lucio Dalla, e lo attaccai al muro. Avrebbe dovuto ritirarsi. Tanto più che la sua canzone si intitolava “Bisogna saper perdere”. E tanto più che tutti collegavano Lucio a me”. Ma chi era davvero Tenco? “Un gigantesco cazzone. Divertentissimo. Adorava gli scherzi”, dice Paoli, senza nascondere però la tensione che innescò la relazione tra il collega e Stefania Sandrelli. “Luigi mi telefonò: ‘Sono a letto con Stefania’. La presi malissimo e ruppi con entrambi. Se non l’avessi fatto, lui sarebbe ancora vivo. Quella sua telefonata non nasceva da una vanteria maschile, ma da un senso di protezione. Tenco era legatissimo alla mia prima moglie, Anna. Era il suo modo di dirmi che Stefania non era la donna giusta per me”.

ORNELLA VANONI, IL SESSO, LE DONNE
A proposito di donne, una di quelle che gli hanno cambiato la vita è stata Ornella Vanoni, che incontrò per la prima volta nel 1960: “Io le ho insegnato a cantare: senza di me avrebbe continuato con le canzoni della mala con cui lei, di famiglia borghese, non c’entrava nulla. Ornella mi ha insegnato il sesso. Ero pieno di sensi di colpa. Con lei ho imparato a parlare facendo l’amore. Prima andavo a letto con chiunque respirasse; con Ornella ho scoperto la libertà e la naturalezza”. Oltre al racconto epico sull’incontro tra Anna, la prima moglie di Paoli, e la Vanoni in un albergo di Viareggio (“sedute su un dondolo mi dicono: ‘Adesso devi scegliere. O una o l’altra’. Le ho mandate tutte e due al diavolo, e me ne sono andato”), c’è quello sull’attuale moglie Paola: “Aveva quindici anni. La respinsi: non volevo finire di nuovo in galera. Tornò quando ne aveva compiuti sedici. All’epoca avevo una donna in ogni città: Paola le affrontò tutte. La rivale più pericolosa, quella di Torino, quasi una fidanzata, la mise in fuga sguainando un coltello a serramanico”.

LE BOTTE CON MANIERO E LA DROGA
Ma la vita di Paoli pare la sceneggiatura di un film. Ed eccolo dunque prendere a cazzotti Felice Maniero, il capo della mala del Brenta: “Maniero stava picchiando una donna. Lo fermai, e mi diede un cazzotto perfetto, bellissimo, dritto al mento. A quel punto gli dissi: andiamo fuori e regoliamo la faccenda. Fu arrendevole: ‘Quella donna è mia moglie, mentre ero in galera mi ha tradito con i miei amici. Se ora tu e io combiniamo casini, mi riportano dentro…’”. In galera c’è finito pure Paoli, per aver picchiato uno che stava bastonando un cane mentre un’altra volta prese a cazzotti un “tizio che vedendomi passare si era toccato le palle. Vestivo di scuro, portavo occhiali scuri: girava la voce che portassi sfiga. Lo centrai in pieno volto, poi gli dissi: hai visto? La sfiga è arrivata davvero”. Non si fece mancare nulla, anche la dipendenza dalla droga: “Ne ero diventato prigioniero. Per due anni. Avevo iniziato con una canna, per recuperare la voce. Poi ho provato cose sempre più pesanti. Ma quando hanno arrestato il mio pusher, ho smesso. Non per virtù; per necessità”. Le cose si complicano con l’alcol: “Per vent’anni mi sono scolato una bottiglia di whisky al giorno. Ora, come vede, non bevo neppure il Pigato”.

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