“Oggi più che mai abbiamo bisogno dei costruttori di pace. La pace s’è persa perché si è perso il senso della pace, che non è soltanto il cessate il fuoco o il deporre le armi. La pace è riuscire a immaginare una comunità che cammina assieme senza differenza di razza, di genere, di religione o di etnia. E questa pace non c’è mai stata in Palestina, nella Palestina storica in cui 75 anni fa fu creato lo Stato d’Israele”. Così esordisce nel suo intervento Francesca Albanese, relatrice speciale Onu sui territori palestinesi occupati, nell’incontro pubblico tenutosi alla Domus Pacis di Santa Maria degli Angeli di Assisi, prima della marcia della pace organizzata in occasione del 75esimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

La pace si costruisce con la pace”, ripete più volte la giurista che analizza la tragica situazione israelo-palestinese dai suoi albori fino ai giorni nostri.
“Non c’è uno Stato palestinese se non sulla carta – ricorda Albanese – Quello che gli accordi di Oslo hanno consegnato ai palestinesi è al massimo un’autonomia municipale. Le autorità palestinesi esistono come una serie di sindaci che controllano un po’ di territorio: le zone A, che sono le città, e le zone B, ovvero le aree peri-urbane. Tutta la Cisgiordania, nonché le zone controllate dai palestinesi, sono sotto la legge militare israeliana”.

E aggiunge: “Da 56 anni il popolo palestinese, in quel che resta della Palestina, cioè nel 22% del territorio che non diventò Israele nel 1948, vive sotto un ginepraio di ordini militari scritti da soldati e rivisti in corti militari. I bambini di 12 anni sono portati davanti ai giudici militari, è l’unico caso al mondo in cui i civili vengono sistematicamente giudicati da corti militari. Questo sarebbe sufficiente per una levata di scudi e per smetterla di recitare il mantra vuoto di due Stati per due popoli”.

“Quello che Hamas ha fatto il 7 ottobre – puntualizza la giurista – è criminale e brutale. Non c’è nessuno che possa difendere Hamas o possa chiamare ‘legittima resistenza’ l’uccisione di civili, la presa di ostaggi, la brutalizzazione di persone. Ma la risposta di Israele è pura vendetta. E non si può giustificarla come diritto all’autodifesa secondo il diritto internazionale. Israele ha diritto a proteggere il proprio territorio e i propri cittadini, ma in linea col diritto internazionale”.
“Il diritto all’autodifesa – spiega – nel diritto internazionale è il diritto a fare la guerra, che Israele non ha nei confronti del popolo che tiene sotto occupazione belligerante da 56 anni e più. Sono altre le cose che Israele avrebbe dovuto fare, forse anche prima del 7 ottobre: smettere di opprimere i palestinesi, smettere di soffocarli”.

La special rapporteur delle Nazioni Unite descrive con voce rotta dall’emozione la distruzione di Gaza: “All’alba dell’8 ottobre ho visto l’inizio di una nuova fine. Gaza non esiste e non esisterà più. Il 60% delle infrastrutture civili è stata distrutto e sono stati bombardati ospedali. Dicevano che dentro gli ospedali c’erano basi militari, ma sono state fornite le prove dell’esistenza di queste basi? – chiede, non nascondendo la sua indignazione – Sono state bombardate università, moschee, chiese. È stata distrutta la chiesa più antica del mondo che si trovava a Gaza. Sono stati bombardati interi quartieri residenziali. Non c’è più niente“.
E aggiunge: “Dietro questa operazione militare si vede chiaramente il disegno antico di spingere quanti più palestinesi fuori dalla Striscia di Gaza verso l’Egitto. E rcordiamo che il 75% delle persone di Gaza sono rifugiati israeliani”.

Diverse le bordate di Albanese all’inerzia della politica europea, di quella italiana e soprattutto della sinistra del nostro paese: “In questi 30 anni la politica italiana, anche grazie a una sinistra che per me ha responsabilità molto più gravi di tutti gli altri, ha derubricato completamente la questione palestinese. E per questione palestinese includo anche gli israeliani, solo che tra il Mediterraneo e il fiume Giordano sono i palestinesi a non avere diritti. E quindi è ancora per loro che ci si batte, non certo a detrimento degli israeliani e dei loro diritti”.

E sottolinea: “Adesso tutti stanno criticando Netanyahu ma anche i governi precedenti che si proclamavano a favore della pace e della creazione dello Stato palestinese hanno continuato ad autorizzare l’insediamento di colonie illegali per soli ebrei. E oggi sono 300 nella Cisgiordania e a Gerusalemme Est”.


La giurista spiega il senso del 75esimo anniversario della Dichiarazione Universale dei diritti umani : “Gli ebrei sono sempre stati perseguitati da noi europei e l’Olocausto è stato il culmine di quell’odio, dopo secoli di persecuzioni e di deumanizzazione. Questa per me è la lezione più importante da trarre oggi. Però a 75 anni da quel momento fatidico dobbiamo chiederci che cosa possiamo fare oggi come comunità internazionale per i palestinesi”.

E ribadisce: “La pace si costruisce con la pace, con la conoscenza, con un sistema di valori che possono essere sostenuti solo sulla base del diritto e dei diritti di tutti all’uguaglianza, alla libertà, alla dignità. Quella dignità che oggi è negata ai palestinesi. La pace si costruisce coi costruttori di pace – prosegue – Non sarà la politica a buttare giù il muro di omertà, a impedire la deumanizzazione, a risolvere l’incapacità di costruire un sentiero diverso su cui accompagnare i palestinesi e gli israeliani, perché questa è l’unica cosa che la comunità internazionale avrebbe dovuto fare all’indomani del 7 ottobre”.

Albanese si sofferma poi sull’inquinamento del confronto pubblico sui media italiani: “Ho cercato di partecipare a qualche dibattito in Italia, ma con grande sacrificio perché vi assicuro che non è facile stare lì mentre si è denigrati e si vede infangare l’Onu da cialtroni”.

E aggiunge: “Questo è il momento chiave per mostrarci solidali al popolo palestinese e al popolo israeliano. Dobbiamo riconoscere il dolore e il trauma di entrambi e aiutarli a ritrovare la forza per camminare assieme. Ma per fare questo non possiamo stare zitti e fermi. Bisogna cambiare marcia. E soprattutto dobbiamo riappropriarci dello spazio pubblico per discutere, per confrontarci – continua – per esprimere il dissenso, perché se non ci è permesso di parlare comincia la nostra fine. Oggi in Italia, come in altre parti in Europa, non è permesso parlare. Ma come è possibile che non si senta quello che sta accadendo a Gaza e in Cisgiordania, dove peraltro non c’è la presenza militare di Hamas? Eppure sono state ammazzati 300 civili di cui 70 bambini in 2 mesi. Tredicimila dodicenni erano stati già arrestati dal 2005 a oggi”.

La giurista, infine, allerta sulla pericolosa deriva che da due mesi si sta registrando sui media e sui social: “C’è questa cosa tristissima e gravissima: accusare di antisemitismo qualsiasi essere umano che provi a divulgare conoscenza, fatti e norme. Ma, attenti, l’antisemitismo esiste ancora ed è pericolosissimo, così come l’omofobia e ogni altra forma di razzismo e di discriminazione. E oggi c’è un’altra forma di razzismo che spesso non viene identificata: il razzismo antipalestinese. Va denunciato anche quello”.

E chiosa: “Se chiedere giustizia, pace, applicazione del diritto internazionale può essere soffocato in nome dell’antisemitismo, tradiamo in primis la lezione che tutti noi europei avremmo dovuto apprendere dall’Olocausto. Il genocidio non è un atto, ma un processo e comincia con la deumanizzazione dell’altro. Così sono stati deumanizzati per secoli gli ebrei e così stiamo deumanizzando oggi i palestinesi. E a tutto questo ci dobbiamo ribellare. Quindi, costruttori e costruttrici di pace: avanti”.

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