“L’Italia ha scelto il presente, sacrificando il futuro. Seguire gli Stati Uniti non porterà a nulla di buono”. Apre così uno dei tanti articoli comparsi sul web in lingua cinese all’indomani dell’ufficializzazione dell’uscita dell’Italia dalla Via della Seta. Una formula che evidenzia come il basso profilo adottato dall’esecutivo di Giorgia Meloni per sottrarsi al Memorandum of Understanding firmato nel 2019 dal primo governo Conte non ha impedito ai media cinesi di contestare l’abbandono del progetto infrastrutturale, commerciale e culturale lanciato dieci anni fa dal presidente Xi Jinping.

“Italiana succube di Washington” – “Quello che l’Italia non vuole, la Cina è pronta a dare a qualcun altro” scrive il canale di informazione online Overseas Talk. “Chi si nasconde dietro questa mossa? Naturalmente Washington” scrive invece Knews. Quello che per l’esecutivo Meloni è “una promessa mantenuta” che segue le aspettative disattese della Via della Seta, per i media della Repubblica popolare è un atto politico privo di sostanza finalizzato esclusivamente a compiacere gli Stati Uniti. A supporto di questa tesi, il direttore dell’Istituto di ricerca sul Mediterraneo della Zhejiang University, Ma Xiaolin, interpellato dal quotidiano locale Zhejiang Daily, ha sottolineato che “l’adesione alla Via della Seta è stata fatta in base alle origini storico-culturali che accomuna i due Paesi e ha portato enormi benefici all’Italia”. L’accademico ha quindi definito le dichiarazioni sull’inefficacia del progetto “inconsistenti”, descrivendo come “contraddittorio” l’atteggiamento di Roma. Contestualmente alla notifica con cui la Farnesina formalizzava la disdetta dell’accordo infatti, il governo italiano si è detto disponibile a rafforzare i rapporti bilaterali con Pechino dimostrando, secondo Ma, di essere semplicemente “succube di Washington”.

Ritorsioni commerciali sui social – Anche sui social media della Rpc, diversi utenti hanno espresso disappunto per l’abbandono italiano. “Ve ne pentirete”, scrivono in molti sulla piattaforma di microblogging Weibo, sottolineando che “i politici occidentali governano come se stessero giocando con le bambole: sono più bravi a disfare che a costruire”. Presente anche lo spettro delle ritorsioni commerciali nella forma del boicottaggio popolare, con alcuni utenti che hanno invitato a “non comprare più prodotti italiani” come già fatto nel 2018 e 2019 con alcuni brand di lusso che avevano “offeso” la Cina. “Se volete andare andatevene, ma vedrete che ci sarà un prezzo da pagare”, ammonisce un utente. “Tanto meglio. L’Italia non è più una meta turistica ambita”, scrive invece un altro, ricordando un trend diventato virale sui social la scorsa estate che aveva nominato l’Italia il “Paese più pericoloso d’Europa per i turisti”, con resoconti condivisi su Douyin (la versione originale in cinese di Tik Tok) che mostravano trucchi per non farsi derubare nelle grandi città.

Cambia la forma, non la sostanza – La riservatezza della strada diplomatica scelta da Meloni sembra tuttavia avere scagionato l’Italia agli occhi dei vertici cinesi. Per non infastidire il gigante asiatico, negli scorsi mesi la premier ha evitato dichiarazioni ufficiali sull’epilogo del capitolo Belt and Road Initiative, impostando invece una fitta agenda che ha portato diversi ministri di alto profilo a Pechino e riesumando la formula della “cooperazione strategica globale” del 2003 come cornice per lo sviluppo futuro dei rapporti con la Cina. Anche per questo, i quotidiani di Partito non hanno dato spazio alla disdetta del Mou, concentrandosi invece sull’incontro tra Xi e i vertici dell’Unione europea, concluso giovedì 7 dicembre con l’auspicio di un “nuovo punto di partenza delle relazioni Cina-Ue”. Allo stesso modo le prime parole del portavoce del ministero degli Esteri, Wang Wenbin, sulla questione hanno confermato la volontà della Cina di gettarsi alle spalle questa storia senza troppa fanfara. “La Via della Seta è un’iniziativa di successo e la più grande piattaforma al mondo di cooperazione tra Paesi”, ha detto Wang, ricordando che 150 Paesi, “inclusa l’Italia”, hanno partecipato al terzo Forum sulla Bri lo scorso ottobre. Nel confronto avuto con la stampa non è mancata però una frecciatina verso il rivale atlantico. “La Cina si oppone alla denigrazione e al sabotaggio dell’iniziativa”, così come al “confronto tra blocchi”, ha detto Wang. In altre parole: l’Italia ha seguito gli Stati Uniti in questa mossa, ma Pechino non ha intenzione di farne un caso di Stato. Capitolo concluso dunque, ma senza risentimento. Per risanare una volta per tutte questa ferita e dimostrare che Xi esce indenne da questa vicenda, Pechino attende però la visita del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che il prossimo gennaio sarà in Cina in occasione dei 700 anni dalla morte dell’italiano più famoso ad avere solcato proprio la Via della Seta: Marco Polo.

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