Le mascherine importate a Bolzano dalla Cina, nella prima fase della pandemia da Covid nel 2020, rischiano di costare caro a sette tra dirigenti e funzionari dell’Azienda sanitaria dell’Alto Adige. La Procura Regionale della Corte dei conti ha emesso altrettanti inviti a dedurre, sulla base degli accertamenti del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di finanza di Bolzano. Complessivamente viene contestato un danno erariale di 6,7 milioni di euro, per una vicenda che ha già portato alle richieste di rinvio a giudizio per frode in pubbliche forniture, turbata libertà degli incanti e frode in danno alla pubblica amministrazione.

Nel mirino è finito l’acquisto di dispositivi di protezione individuale (DPI) che si erano rivelati non idonei a salvaguardare dai rischi di contagio gli operatori sanitari a cui erano destinati. I finanzieri hanno svolto un’accurata indagine, acquisendo documenti e interrogando le persone che avevano disposto l’affare ed effettuato i controlli. “E’ emerso – scrive la Finanza in una nota – come in piena fase emergenziale una nota società bolzanina che produce e commercia maglieria e capi d’abbigliamento si fosse attivata per il reperimento di dispositivi di protezione individuale, su input dell’autorità politica provinciale incaricata della gestione dell’emergenza e delle figure di vertice della locale Azienda Sanitaria”. Si trattava del gruppo Oberalp, che aveva trattato l’acquisto di oltre 2 milioni di pezzi tra mascherine e tute di protezione con un fornitore cinese. Il costo totale fu di circa 9 milioni di euro.

Le mascherine furono distribuite, secondo la Finanza, nonostante le perplessità degli addetti al servizio di urgenza e emergenza dell’Azienda sanitaria, a causa della carenza di documentazione tecnica di accompagnamento, che ne attestasse la rispondenza agli standard di salute e sicurezza richiesti dalla normativa europea. Erano anche stati effettuati alcuni test di idoneità da parte della Croce Rossa austriaca che avevano avuto esito negativo, al punto da sconsigliarne l’utilizzo come dispositivi del tipo FFP1, FFP2 e FFP3. Inoltre l’Istituto nazionale assicurazione e infortuni sul lavoro aveva attestato la mancata corrispondenza con le norme vigenti, vietandone l’immissione in commercio.

L’inchiesta erariale censura il fatto che i vertici dell’Azienda sanitaria abbiano disposto il pagamento della fornitura a beneficio della società altoatesina per oltre 6 milioni di euro. Per sanare la situazione, poi, gli stessi si erano attivati direttamente presso un ente certificatore tedesco, cercando di ottenere l’attestazione di idoneità dei dispositivi importati, ma avevano ricevuto una risposta negativa perché le mascherine non avevano superato l’esame di permeabilità. Secondo i finanzieri, “i vertici dell’Azienda Sanitaria non hanno desistito dal perfezionare l’acquisto e non hanno adottato le necessarie cautele in sede di stipula del contratto, al fine di tutelare l’interesse dell’ente pubblico e la salute di pazienti e operatori, inserendo clausole a garanzia di un eventuale diritto di recesso”. In particolare, è stato trovato un contratto “privo della sottoscrizione delle parti, modificato unilateralmente dall’imprenditore con l’inserimento di condizioni svantaggiose per l’Ente che, ciò nonostante, ha disposto il pagamento della fornitura denotando, contro ogni principio di prudenza, un ingiustificabile atteggiamento di favore degli interessi imprenditoriali del privato a discapito dell’interesse pubblico”. Il conto presentato complessivamente assomma a 6.709.053,23 euro. Naturalmente gli interessati possono presentare le loro controdeduzioni.

Sul versante penale la Procura della Repubblica ha chiesto il rinvio a giudizio, tra gli altri, per l’ex direttore generale dell’Azienda sanitaria Florian Zerzer, per il responsabile dell’unità Covid Patrick Franzoni e per l’amministratore delegato del gruppo Oberalp, Christoph Engl, nonché per lo stesso gruppo commerciale.

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