La nozione di sviluppo è assolutamente centrale per la riflessione della comunità internazionale e il futuro del pianeta. L’altro concetto chiave è quello di una comunità di futuro condiviso per il pianeta, che dovrebbe includere tutti gli Stati, nessuno escluso. Questi, ma anche molti altri, sono i principi guida che abbiamo discusso nel corso della Conferenza che si è svolta a Pechino il 25 e 26 novembre su iniziativa dell’Istituto di diritto internazionale dell’Accademia cinese di scienze sociali.

Già solo dall’analisi dei due concetti appena enunciati emerge l’attenzione attribuita a un sano materialismo che riconosce il carattere fondamentale delle esigenze di ogni individuo, e all’universalismo basato sull’interazione dialettica tra il patrimonio comune dell’esperienza umana sul piano filosofico e ideale da un lato, e le caratteristiche peculiari di ogni cultura nazionale e locale dall’altro.

Nonostante la crescita sbalorditiva e incessante del suo potere economico e anche del soft power derivante dalla sua capacità concreta di orientare il dibattito e le decisioni della comunità internazionale su tutte le questioni più importanti, la Cina non aspira certo a diventare la nuova potenza dominante. Al contrario, rifiutando decisamente ogni egemonismo e ogni imperialismo, il governo cinese propone un nuovo quadro condiviso di tipo multipolare che sappia offrire risposte efficaci alle molteplici sfide che l’umanità si trova oggi di fronte e che hanno per posta in gioco decisiva la stessa sopravvivenza della civiltà umana, se non del pianeta tout-court.

I problemi che dobbiamo risolvere sono noti, dalle guerre alla crisi ambientale, dalla diffusione della povertà alla crescita delle disuguaglianze, dall’aumento insostenibile del peso della finanza al ruolo crescente della criminalità organizzata che già in molte aree del pianeta si atteggia a vero e proprio governo de facto. La soluzione di questi problemi richiede una conferma e un rilancio del significato e della funzione del diritto internazionale e delle istituzioni internazionali. Ma oggi l’uno e le altre sono ostacolate e spesso rese irrilevanti dall’ostruzionismo dell’Occidente, la cui unica preoccupazione è quella di non perdere definitivamente il predominio che ha esercitato ininterrottamente almeno a partire dall’inizio dell’era moderna colla cosiddetta scoperta dell’America, avvenuta com’è noto nel 1492 e cioè ben 531 anni fa.

Tale predominio è a ben vedere all’origine di molti dei problemi acuti nei quali ci dibattiamo attualmente, specie in quanto il suo esercizio si è accompagnato al brutale sfruttamento imperialista delle risorse del pianeta e a un capitalismo sempre più sfrenato fino a giungere alle attuali abiezioni del neoliberismo, oggi caricaturalmente simboleggiato dal demente uso alle sedute mediatiche coi suoi cani defunti recentemente insediatosi alla Casa rosada.

Il superamento del predominio occidentale costituisce oggi condizione necessaria ma non sufficiente per un governo del pianeta che sia finalmente all’attesa delle sfide esistenti. All’instaurazione di un governo multipolare deve infatti accompagnarsi l’affermazione dello Stato di diritto a livello sia nazionale che internazionale, recependo e mettendo in pratica quanto di meglio la civiltà umana ha saputo elaborare in millenni di riflessione scientifica, filosofica e giuridica. Anche da questo punto di vista la Cina socialista ha saputo fare passi da gigante dotandosi di un corpus normativo cui si aggiungono continuamente nuovi significativi segmenti.

Già oggi, ad esempio, la legislazione cinese in materia di minoranze nazionali appare per molti versi esemplare, anche se contro la Cina si agitano scompostamente le ridicole campagne di disinformazione che parlano a vanvera di genocidio ai danni di Uiguri, Tibetani, abitanti di Hong Kong, Taiwanesi e quanti altri, mobilitando all’uopo gruppetti di imbecilli prezzolati o meno, a volte raggruppati in sedicenti unioni per i diritti umani, la cui unica ragione sociale è attingere ai fondi cospicui messi a disposizione per attività di questo genere dal Dipartimento di Stato statunitense ed analoghe organizzazioni.

Molto resta da fare ovviamente, in Cina e soprattutto nel resto del mondo, e a tale fine occorre sviluppare ulteriormente il confronto e lo scambio sulle questioni strategiche, le basi concettuali delle soluzioni e la loro applicazione pratica. Avvilisce a tale riguardo la constatazione che la nostra Italia, sede al pari della Cina di una civiltà millenaria, sia oggi governata da una pattuglia di forze politiche scarsamente dotate del senso della dignità nazionale, che decidono ogni giorno di svendere la nostra sovranità nazionale alle esigenze immediate e di lungo periodo della perpetuazione del sistema di dominio imperialista che già tanti e forse irrimediabili danni ha fatto al nostro pianeta e all’umanità sofferente che lo abita.

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