“Ogni tanto sento dire che si vorrebbe togliere questo beneficio, ma se non abbiamo questo beneficio fiscale non verrebbero più i grandi giocatori e il fisco incasserebbe meno“. Quando Paolo Scaroni – presidente del Milan, anche n.1 di Enel per nomina governativa, quindi ben avvezzo alle dinamiche politiche – difende il decreto Crescita che non esiste più, ci fa o ci è. Forse non sa che l’esecutivo ha appena cancellato lo sgravio fiscale con decorrenza dal primo gennaio 2024 e che quindi la pacchia per i club di Serie A dal prossimo calciomercato è finita? Difficile immaginare che un profondo conoscitore della politica italiana come lui sia tanto impreparato. Quindi le sue parole sono rivelatrici: nonostante ciò che dicono gli atti ufficiali, il Decreto Crescita è tutt’altro che morto e sottobanco continuano le trattative della lobby del pallone per mantenere i propri privilegi.

Il tira e molla sullo sgravio per gli “impatriati” – che nel 2019 l’allora governo gialloverde aveva esteso agli sportivi con il famoso decreto Crescita, permettendo alle squadre di ingaggiare calciatori che vengono dall’estero pagando le tasse solo sul 50% del loro stipendio – va avanti da inizio autunno. In un Cdm a metà ottobre a sorpresa il governo aveva tagliato la norma per tutti, stabilendo inoltre che, siccome nello sport le stagioni sono a cavallo di due anni solari, per il calcio l’annualità 2024 scatta il primo luglio 2023. Tradotto: tolto retroattivamente il beneficio a tutti gli acquisti dell’ultimo calciomercato. Un autentico salasso per la Serie A: Milan, Inter, Roma erano disperate, rischiavano di perdere oltre 25 milioni di tasse per gli stipendi dei vari Thuram, Pulisic &C. A quel punto è corso in soccorso il ministro dello Sport, Andrea Abodi, che ha preteso e ottenuto di inserire una postilla nel comunicato di Palazzo Chigi: “Invariate le disposizioni per i ricercatori, professori universitari e lavoratori dello sport”. Una garanzia per scongiurare almeno l’effetto retroattivo della riforma. E in effetti alla fine è andata così. Come raccontato dal Fatto negli scorsi giorni, nel testo finale della Delega Fiscale è spuntata una postilla che esclude i contratti firmati in estate: sono confermati “i rapporti di lavoro sportivo che hanno stipulato il contratto entro il 31 dicembre”. Ma dall’anno prossimo lo sgravio è cancellato.

Come spiegare allora le dichiarazioni di Scaroni, che parla come se la trattativa fosse ancora aperta. Semplicemente perché è proprio così. Al Fatto risulta che, nonostante l’intervento legislativo sia appena stato approvato, gli accordi politici siano altri. Il compromesso – avallato dallo stesso Abodi – sarebbe quello di non cancellare completamente il Decreto Crescita per lo sport, ma rivederlo con una riforma più organica. Magari cambiando le soglie: oggi lo sgravio si applica per gli stipendi dal milione di euro in su, quindi praticamente per qualsiasi calciatore di Serie A. L’idea potrebbe essere di alzare la soglia in modo che l’aiuto resti ma solo per portare in Italia i veri top player, eliminando almeno la distorsione oggettiva per cui fino ad oggi a un club conveniva comprare uno straniero scarso piuttosto che far giocare un giovane italiano. L’intenzione è acquisire i numeri reali del provvedimento e poi capire come intervenire una nuova volta. L’efficacia – vera riforma o ennesimo regalo mascherato alla Serie A – dipenderà soprattutto da quanto sarebbe alta la nuova soglia: con un ritocco minimo, a 2 o 3 milioni, non cambierebbe quasi nulla e avrebbero vinto ancora una volta i patron. Per circoscrivere davvero l’ambito di applicazione dello sgravio ai soli campioni (comunque discutibile) bisognerebbe partire da non meno di 5-6 milioni di stipendio. Anche questo ovviamente sarà oggetto di trattativa. Ad oggi, però, la legge dice un’altra cosa, cioè che il Decreto crescita fra pochi mesi non esisterà più. Per questo il pallone non si arrende.

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