Il patriarcato non esiste. Si tratta di una verità troppo evidente e banale per lasciare tale affermazione alla Destra più becera, quella che la utilizza per far proseguire un sistema sociale e culturale che discrimina e sottomette il femminile. È sufficiente richiamarsi alle basi della teoria politica per comprenderlo: chi sarebbe il capo, l’oligarchia o anche solo i quadri dirigenti di questo presunto potere patriarcale? Dove si trova la sede di tale potere? Chi ne sono i soggetti politici e sociali titolati e deputati a diffonderlo e praticarlo? Quale l’obiettivo finale?

Un sano buon senso privo di ideologia basta a comprendere che non vi sono risposte soddisfacenti a queste domande, perché a mancare è il soggetto stesso di cui si vorrebbe parlare.

La mancanza di tali risposte, in compenso, permette delle generalizzazioni al tempo stesso scorrette e inaccettabili: il sistema capitalistico in sé sarebbe patriarcale, quindi le nostre società cristiane e liberali, tutti i maschi ne sarebbero artefici e responsabili (così che tutti si devono sentire in colpa e scusarsi per i terribili fatti di cronaca che vedono vittime delle donne), nessuna responsabilità sarebbe da attribuirsi ad alcuna donna né, si suppone, alle persone trans, omosessuali, queer o che non si riconoscono nella cosiddetta logica binaria dei due sessi.

È tutto un po’ troppo semplicistico, schematico e superficiale per essere vero. Ma noi viviamo in un’epoca in cui la verità non interessa e comunque si fa molta fatica a individuarla, ripulendola dai troppi cespugli di virtualità, retorica politicamente corretta e chiacchiericcio in cerca di like che ormai la nascondono quasi del tutto.

Il guaio, però, è che individuare un obiettivo al tempo stesso troppo grande, generico e semplificante – il Patriarcato, appunto – aiuta il pensiero a non sforzarsi troppo per operare le più elementari distinzioni di buon senso, è estremamente efficace nel produrre facili like e un consenso quasi furioso in seguito alla rabbia provocata da fatti di cronaca aberranti, però non aiuta per niente né la comprensione del fenomeno (assai più complesso e articolato) né soprattutto il contrasto al fenomeno medesimo.

Basterebbe, per esempio, esprimersi in termini di cultura patriarcale – invece che di Patriarcato – per comprendere che allora essa è distribuita e declinata in termini decisamente più problematici di come si vorrebbe credere. Si comprenderebbe che riguarda anche le donne stesse, che non è estranea alla lotta di classe tornata prepotentemente in auge, che ha a che fare con un analfabetismo emotivo e relazionale che riguarda sempre di più un’umanità abituata alla connessione tra profili invece che alla relazione tra persone, e che coinvolge anche la politica internazionale. Proprio quest’ultima rivela in maniera esemplare la complessità del fenomeno.

Per esempio quando si tiene presente un mondo islamico che da una parte mette in atto le forme più radicali e sanguinose contro la libertà delle donne (pensiamo al regime iraniano, ma non solo), dall’altra – come nel caso recente di Gaza – ci racconta che quasi il 70 per cento delle vittime palestinesi dall’inizio del più recente conflitto con Israele sono donne e bambini.

Se teniamo conto di questo scenario più complesso, si comprende che è molto arduo individuare la sede, i soggetti politici e gli obiettivi politici finali di questo presunto Patriarcato di cui si parla. Ragionando in termini di cultura patriarcale, invece, si vede come essa non sia estranea né al mondo cristiano, né a quello ebraico e certamente neppure a quello islamico. Ma soprattutto si comprende che questa cultura patriarcale, incline a produrre una discriminazione e una sottomissione del femminile al maschile, proprio in quanto cultura non è estranea alle donne (che per esempio hanno votato in larga maggioranza l’attuale governo di centrodestra italiano, non certo nato con l’intento di combattere minimamente la cultura patriarcale) e, in generale, non è semplificabile attraverso schematizzazioni di comodo, che se anche soddisfano sul momento la pancia di chi è legittimamente arrabbiato per l’ennesimo caso di violenza mortale su una donna, all’atto pratico si rivelano irrilevanti rispetto ai tentativi di fronteggiare il problema nei termini complessi e ragionati che sarebbero necessari.

Parafrasando lo Sciascia che nel 1987 denunciava i “professionisti dell’antimafia”, oggi è opportuno denunciare i “professionisti del patriarcato”, che utilizzando questa espressione (patriarcato, appunto) con abilità e spregiudicatezza, aumentano i propri follower e si guadagnano le prime pagine dei giornali (o le home page dei siti) e il favore dell’intellighenzia politicamente corretta. Ma c’è da dubitare fortemente che facciano gli interessi delle vittime a supportino il contrasto contro la cultura maschilista e misogina.

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