Peppe Barra è uno degli ultimi grandi maestri del canto e del teatro del Novecento italiano.

La Cantata dei Pastori è un’opera straordinaria, un capolavoro che affonda le radici nel teatro religioso di fine Seicento per divenire poi, nell’evoluzione di quattro secoli, una grandiosa summa della canzone popolare napoletana, nella sapiente mescolanza di sacro e profano. Unite i due elementi e otterrete un evento imperdibile, per chi non l’ha già visto dal vivo, e una bellissima consuetudine, per chi da anni ne è un fedele spettatore: fino al 3 dicembre il maestro Barra porterà in scena la Cantata alla Sala Umberto a Roma, per poi proseguire a Foggia, Battipaglia, Benevento e a Napoli.

Vedere dal vivo Barra è qualcosa di memorabile, che proverò a riassumere così: immaginate sulla scena un artista con la potenza e la versatilità vocale di Carmelo Bene e i tempi comici di Totò. Chi lo ha visto dal vivo, sa che non c’è nessuna esagerazione, anzi, chi conosce bene la carriera di Barra sa perfettamente come l’evocazione di questi nomi altisonanti non sia per nulla casuale.
Ma, accanto al grande mattatore, in questa versione emerge il talento eccezionale di Lalla Esposito, nel ruolo difficile quanto irresistibile di Sarchiapone: considerando che l’interprete storica del ruolo era proprio Concetta Barra, leggenda del canto napoletano e madre di Peppe, potete intuire la straripante personalità dell’attrice.

Ho avuto il piacere di conversare con Peppe Barra, sull’opera da lui portata in scena a Napoli per quarant’anni circa nel periodo natalizio.
Nelle sue parole: “La Cantata dei Pastori racconta la favola più bella del mondo: la nascita del Bambinello. Rappresenta il presepe in movimento”. Scritta dall’abate Andrea Perrucci nel 1698 con il titolo: Il Vero Lume tra l’Ombre, ovvero la Spelonca Arricchita per la Nascita del Verbo Umanato, la storia narra del viaggio di Maria e Giuseppe verso Betlemme, dei tentativi dei diavoli di impedire la nascita del Messia, fino al trionfo delle forze angeliche e alla nascita del Bambinello al cospetto, appunto, dei pastori e dei pescatori, come nel presepe napoletano.

I protagonisti, però, sono due, tutt’altro che ieratici, mi spiega Barra: “I gesuiti avevano una comicità ecclesiastica, quindi poco divertente per il popolo napoletano, per cui nell’800 viene creato il personaggio di Sarchiapone, assassino, truffatore, gobbo, mostruoso, accanto al già presente personaggio di Razzullo, uno scrivano brutto e perennemente affamato che negli scambi con l’altro personaggio diventa scurrile”.

Come mi racconta l’artista, “La Cantata ha uno strano destino: è una sacra rappresentazione voluta dai gesuiti dell’epoca perché il popolo andava a vedere le rappresentazioni blasfeme. Creata per essere di supporto alla fede, diventa talmente blasfema che addirittura il clero la proibisce nell’800. Si rappresentava di nascosto nelle sacrestie, nei teatri popolari, fino al 1974 quando fu recuperata dal maestro Roberto De Simone con la Nuova Compagnia di Canto Popolare. De Simone non ha fatto altro che recuperare una Cantata sepolta nell’oblìo, ricreandone i suoni delle canzoni, poiché nelle versioni ottocentesche venivano inserite nell’opera tutti i successi della Napoli canora, come Funiculì, Funiculà per esempio. Si mantenne di sacro solo il canto finale Quanno nascette ninno composto da S.Alfonso Maria de’ Liguori. De Simone l’ha rispolverata con l’ausilio della Nuova Compagnia, in cui io sono stato il primo Razzullo. Poi, fu ripresa negli anni ‘80 da me, che l’ho portata avanti per tutti questi anni”.

Come detto, celebri furono le rappresentazioni accanto alla madre Concetta, voce e attrice straordinaria: “Il primo Sarchiapone che ebbe le vesti muliebri fu mia madre. Nel tempo l’ho fatto interpretare ad altre attrici, come Rosalia Porcaro, Teresa Del Vecchio, oltre a attori come Umberto Bellissimo. Ora è nelle mani di Lalla Esposito, che devo dire la interpreta al livello di Concetta Barra”. Parliamo di un gigante del teatro popolare, in grado di trasformare gli aspetti giocosi della Tamurriata Nera in un canto di denuncia contro la violenza, da sempre attento anche all’aspetto sociale: “La Cantata è il canto d’amore dei napoletani nei riguardi della nascita del Bambinello, ma è un calderone talmente prolifico da poter diventare anche veicolo di comunicazione politica”.

Vi consiglio vivamente di non perdere l’occasione per rendere omaggio a un monumento dell’arte canora italiana, in un classico commovente.

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