“La povertà è aumentata tantissimo e si vede un po’ ovunque. Tanto da essere tema di discussione nei bar e nei mercati molto più di prima”, racconta Mirella. La situazione è tanto problematica che nella capitale Buenos Aires stanno organizzando un censimento della popolazione senza tetto poiché stime informali e da verificare dicono che post pandemia la percentuale di chi vive in strada sia cresciuta del 30%. Horacio Avilla, di Proyecto 7 (organizzazione formata da senza tetto), rispondendo, a maggio 2023, all’ex sindaco della capitale, però ricordava “le persone vivono nello spazio pubblico perché il governo della Città di Buenos Aires non crea alternative valide per poter stare altrove, non è certo una scelta di vita vivere o dormire per strada”.

Scontri politici a parte queste voci sono la disarmante fotografia della vita quotidiana in Argentina, paese dove l’inflazione è al 142% e la somma tra debito pubblico e misure per ripagarlo imposte dal Fondo Monetario Internazionale stanno traghettando il paese, sempre più, in una situazione drammatica, dove il tasso di povertà ha superato il 40% della popolazione. È tanto grave il contesto di cui parliamo che adesso anche chi lavora con un contratto stabile può far parte della popolazione di poveri e povere, una novità nel paese dove fino a poco tempo fa un’assunzione regolare significava una certa sicurezza economica e la povertà era relegata, per lo più a chi non aveva lavoro o lavorava informalmente. L’assunzione garantisce ritocchi di stipendio, anche se insufficienti a contrastare l’inflazione. Oltre il 40% della popolazione argentina, però, vive di lavoro informale e quindi è esclusa dai ritocchi salariali. Di fatto la classe media non esiste più, o si è fortemente assottigliata, e le speranze di un futuro si sono ridotte al lumicino.

Paula Pena, 22enne studentessa a Mendoza, intervistata da El Tiempo, il 15 ottobre, condivideva “ho pensato di emigrare, ma alla fine non lo farò. Una mia amica vuole andare in Cile, credo che tutte le mie amiche abbiano in mete di andarsene in un altro paese avendone la possibilità”. “Si vive male. Ma la situazione non è la stessa del 2001. Però i salari non riescono a stare al passo dell’inflazione. Io sono fortunata perchè il mio contratto da ricercatrice mi permette di sopravvivere. Certamente questa situazione ha fatto calare la fiducia in chi governa e ha governato” racconta Rosella. Qualche mese fa il canale Aj+ ha realizzato diverse interviste per strada, nel video si sente una ragazza dire “per me è impossibile risparmiare perchè uso gran parte dei soldi per affittare una casa”, mentre un ragazzo di Buenos Aires aggiunge “se fossi obbligato ad affittare una casa diventerei povero, sognavo di comprarmi casa, macchina e moto 15 anni fa. Ma non posso risparmiare e così non posso comprarle”. Pablo Torres, venditore ambulante di caffè e colazioni racconta “non si può organizzare il futuro o risparmiare, un anno fa il caffè lo pagavo 80 pesos, oggi 200”.

Il giornalista argentino del Pais Carlos Pagni, ad aprile, raccontava “a partire dalla crisi del 2001 nel paese si introduce una novità, ovvero la povertà come problema sistemico. Non siamo un paese con poveri e povere siamo un paese con povertà. E la povertà è organizzata in movimenti sociali che diventano attori politici”. Ma anche le economie popolari, nonostante l’importante l’azione di mitigazione della povertà, e di creazione/organizzazione di alternative sociali dal basso non bastano a contenere il dramma economico. Nel marzo del 2023 su La Garganta Poderosa è uscito un articolo intitolato “La fame non da tregua” dove Johana Cabrera, 36enne, lavoratrice del punto ristoro sociale “Akhajata” racconta “70 ragazze e ragazzi vengono religiosamente al nostro punto ristoro. Dalla pandemia stiamo chiedendo risorse al governo di Formosa, ma non ci danno nulla. Ci dicono che ci sono le scuola che danno loro da mangiare, e c’è anche un programma chiamato Nutrir, che fornisce prodotti due volte al mese ma poi arrivano al massimo 10 articoli. Sono poche cose e per di più non tutti e tutte le ricevono. La cosa più illogica che ci hanno detto è che l’unica cosa che avrebbero potuto darci per la nostra sala da pranzo era un pacchetto di cioccolato. Una beffa, perché non ci facciamo niente”.

La povertà in Argentina è un fattore visibile ed impattante che solo i servizi sociali, e l’autorganizzazione comunitaria nata dal 2001 in poi nel paese sono riusciti a limitare, ma le politiche dei governi post crisi di inizio secolo non sono state in grado di affrontare il problema ma solo lenirlo. Ora con il governo Milei e la prospettiva di un taglio alla spesa pubblica e un conflitto aperto con le economie popolari la domanda su cosa accadrà alle fasce più fragili della popolazione è aperta e spaventa milioni di persone.

Articolo Precedente

Olanda, exit poll – L’estrema destra di Wilders in vantaggio. Il leader anti migranti: “Governeremo”

next
Articolo Successivo

L’economista argentino Féliz: “La dollarizzazione di Milei è impossibile. L’unica certezza è il taglio dei sussidi ai più deboli”

next