Che ci sia un’enorme liquidità da investire in giro per il mondo soprattutto nelle mani dei fondi d’investimento è noto. Che si cerchino impieghi di capitale garantiti non è un mistero. Che questi serbatoi di guadagno monopolistici si trovino in Italia non è una novità. Da noi il mercato delle rendite offre gestioni balneari, gestori aeroportuali, ferrovie locali, porti, energia, gas ed autostrade e molti di questi generano non solo profitti ma anche extra-profitti. A questi si aggiunge ora il trasporto pubblico locale. Che un fondo d’investimento americano e non un’azienda del settore entri nel mercato del trasporto pubblico locale italiano sorprende non poco.

Ci sorprende perché da anni ci raccontano che il settore è in crisi, che diminuiscono i passeggeri (vero) e calano i trasferimenti statali e regionali. Uno scenario da tragedia imminente, e infatti le grandi aziende pubbliche del tpl, in primis l’Atac, sono da anni sull’orlo del fallimento. Da molto tempo ad ogni legge di bilancio le grida di allarme si susseguono da parte di Regioni, provincie, comuni Agenzie della Mobilità e partiti: “più risorse al trasporto locale” è lo slogan ripetuto. Ma se lo scenario è questo come è possibile che vengano addirittura dall’America ad investire in Italia?

Forse il problema, e contemporaneamente la soluzione, stanno in quanto denunciamo da anni:
– le aziende che gestiscono i trasporti nel settore sono sempre le stesse da 40 anni;
– in molti casi l’offerta di servizi è la stessa, come se non fosse mai cambiata la domanda di mobilità degli italiani;
– concessioni settennali sempre prorogate senza gara (Atm Milano su questo fronte è indecente) ed un continuo intreccio consociativo tra politica, aziende e sindacati hanno reso il tpl italiano del 20% più costoso, meno integrato e tra più inefficienti d’Europa;
– quando si fece l’unica gara in Lombardia vinsero in tutte le provincie e città le stesse aziende che già gestivano le concessioni;
– ci fu un sindacalista che prima delle gare depositò da un notaio milanese i nomi dei vincitori e non ne sbagliò uno…

E forti (o meglio deboli) di queste considerazioni torniamo a valutare lo sbarco degli americani: il gruppo delle ferrovie tedesche Deutsche Bahn cede al fondo Usa I Squared Capital il controllo di Arriva, il big degli autobus presente in 14 paesi soprattutto nel Nord Europa. Tra le articolazioni nazionali di Arriva c’è Arriva Italia, che da noi è tra i primi operatori nel settore del Trasporto Pubblico Locale su gomma, con circa 100 milioni di km di percorrenza, 3.500 dipendenti e una flotta di oltre 2.500 autobus. Arriva Italia gestisce direttamente il trasporto di studenti e pendolari in Lombardia nelle provincie di Brescia, Bergamo, Lecco e Cremona dove è unico operatore. E’ presente anche in Piemonte e Valle d’Aosta. Opera invece come holding di riferimento, attraverso società partecipate, in Veneto, Friuli Venezia-Giulia e Como. Nel 2021 Arriva ha chiuso l’esercizio con ricavi di 153 milioni e un utile netto pari a 12 milioni di euro.

Ma visti i numeri passano alcuni dubbi e ne vengono altri: passa il dubbio che gli americani siano stupidi, perché il 10% di guadagno garantito in questi tempi grami non è cosa da poco, ma cresce il dubbio che ad essere stupidi siano gli italiani e la pubblica amministrazione, perché se Arriva guadagna come è possibile che tutte le altre aziende del settore piangano miseria e taglino i servizi?