L’inventore del cinema in Italia si chiama Filoteo Alberini (1867-1937). Ma questa, almeno per i cinefili, non è una notizia. Le notizie stanno nelle sue avventure, nella sua intraprendenza e nel ruolo che riuscì a conferire alla propria terra etrusca, la Tuscia, nel viterbese, che divenne, per oltre un secolo, prima e dopo la sua morte, un set ideale per i maggiori registi italiani (e qualche straniero), certamente uno dei più gettonati, sia per la vicinanza a Roma che per la suggestione dei luoghi.

Le vicende cinematografiche di quella regione ce le racconta, con dovizia di particolari, Franco Grattarola nella sua recentissima riedizione aggiornata de La Tuscia nel cinema (Archeores), sponsorizzata, fra gli altri, dalla Cineteca Nazionale di Roma. Non un volumetto stile pro loco redatto dall’immarcescibile, noioso storico del posto, ma un volume che ci fa conoscere curiosità tracciando, contemporaneamente, la storia del cinematografo degli ultimi cent’ anni. Grattarola è uno studioso tout court, senza prevenzioni nei confronti del cinema ritenuto ‘minore’ dai critici snob ed è noto ai pornologi per il suo imperdibile Luce Rossa (Iacobelli), vera e propria bibbia dell’hard storico italiano, scritto con Andrea Napoli.

Tornando ad Alberini, il suo primo film è La presa di Roma un racconto della breccia di Porta Pia sulle cui mura, nel 1905, viene proiettata la pellicola (che dura dieci minuti). L’anno successivo Alberini crea la Cines che produrrà intensamente, rapportandosi, con il passare degli anni, al fascismo avanzante degli anni 30. Segue a ruota il viterbese Silvio Laurenti Rosa che, fanatico dell’Urss, riesce persino ad incontrare Lenin in persona e stipulare un accordo produttivo con l’Unione Sovietica, accordo poi fallito per un mancato finanziamento bancario, ma a realizzare, con la gran mole di materiale acquisito oltre cortina, Katiuscia, “il primo film di uno straniero sulla Russia post rivoluzionaria” uscito in sala a Roma nel 1923!

Dalle location della Tuscia sono via via attratti, col passare degli anni registi del calibro di Alessandro Blasetti che vi gira alcuni esterni di uno dei suoi film più noti, La corona di ferro (1941). La scelgono anche futuri maestri come Roberto Rossellini con Un pilota ritorna (1942), sponsorizzato da Vittorio Mussolini, e la co-sceneggiatura di Michelangelo Antonioni. Non mancano, sui set del viterbese, film più leggeri, come quelli di Giorgio Simonelli o di Mario Ballerini (nel suo Lucia di Lammermoor, 1946, appare sul grande schermo, per la prima volta, Gina Lollobrigida).

L’evento più chiacchierato è, però, l’improvvisa comparsa in zona di Orson Welles (in foto) che sceglie la Tuscia per girare alcune scene del suo Otello (1951), la cui lavorazione durò tre anni. Welles diviene anche un bersaglio del gossip locale: “l’ex marito di Rita Hayworth […] sta girando in uno dei più suggestivi edifici medioevali di Viterbo e Tuscania […]”. La scena della morte di Desdemona “l’ha fatta ripetere 18 volte […], dirige in italo-americano […], ha 34 anni, fuma sigari speciali fabbricati appositamente per lui, beve vino rosso e non sempre si controlla nei pasti”. Capitò che Suzanne Cloutier, la diciannovenne interprete di Desdemona, in una scena non riuscisse a piangere. E così l’uomo “le cui labbra hanno avuto la fortuna di essere congiunte a quelle della divina Rita […] – brutale! – le ha tirato i capelli ed il pianterello richiesto è venuto fuori”.

E poi, Fellini che sceglie (anche) la Tuscia per I Vitelloni (1953), uno dei cui protagonisti, Franco Interlenghi, chiacchiera così con il regista, a proposito di Alberto Sordi: “Ma questo è un attore vero, un attore straordinario!”. E Fellini: “E che, non lo sapevi? Pensa che non lo volevano pigliare!”. In zona Fellini girerà parti de La strada, Il bidone e la scena della festa de La dolce vita nel palazzo Giustiniani Odescalchi a Bassano Romano.

Non mancheranno, in Tuscia, Monicelli (L’armata Brancaleone, la scena della demolizione della chiesa in Amici miei e molti altri che qui, per motivi di spazio, è impossibile citare, parliamo di centinaia di registi…). In Tuscia nascono anche decine di decamerotici anni 70 (e anche il capostipite pasoliniano utilizza la basilica di Castel Sant’Elia). Per giungere ad alcuni peplum, spaghetti western, i Pinocchio di Comencini e di Benigni e svariate serie tv come, una per tutte, Il maresciallo Rocca. Nonché erotici-horror (Antropofaghus di Aristide Massaccesi, ad esempio) e un bel mucchietto di porno d’antan.

In totale oltre 600, fra film e fiction, in un territorio di circa 3500 kilometri quadrati. Mica male.

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