Tra le ragioni per le quali il Consiglio di Stato ha “congelato” lo scioglimento per infiltrazioni camorristiche di Castellammare di Stabia, rinviando ad altra sezione del Tar Lazio il compito di decidere sul ricorso avanzato dall’ex sindaco Gaetano Cimmino e dalla sua giunta, c’è il giallo di un cd ‘vuoto’. Un cd che avrebbe dovuto contenere gli atti istruttori alla base della relazione della commissione prefettizia d’accesso, il documento sul quale si è fondato il decreto di scioglimento firmato nel febbraio 2022 dalla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese.

In quel dischetto non c’era uno straccio di file, come accertato durante il procedimento con un verbale di accesso. Così la terza sezione del Consiglio di Stato presieduta da Raffaele Greco ha dato ragione ai legali di Cimmino: i ricorrenti “non hanno potuto svolgere ‘compiutamente’ il loro diritto di difesa”, esercitato solo attraverso le doglianze alle motivazioni contenute nelle relazioni prefettizie.

Il Consiglio di Stato ne ha anche per i colleghi di primo grado: “Forse neppure il Tar si è potuto trovare nella condizione di esercitare il suo sindacato in una misura completa”, non avendo potuto disporre dell’intera documentazione. E le bacchettate al Tar non finiscono qui. “L’estrema genericità delle motivazioni su cui si regge la sentenza impugnata, nella quale non è rinvenibile alcun riferimento argomentato ai vari elementi indiziari sui quali si è basato il censurato decreto di scioglimento (pur contestati, uno per uno, nel ricorso introduttivo e nei motivi aggiunti), non consente in alcun modo di comprendere il percorso logico giuridico su cui il Tar ha fondato le proprie conclusioni”. Articolate dai giudici di primo grado “mediante l’apodittico richiamo a principi e regole giurisprudenziali in subiecta materia, non declinati in relazione al caso concreto esaminato”.

E ora cosa succede? Sostanzialmente niente nell’immediato: il commissariamento per camorra resta in vigore, e di fatto è già in corso la campagna elettorale, Castellammare dovrebbe tornare al voto nella prossima primavera. Ma sul piano procedurale Cimmino, difeso dagli avvocati Angelo Clarizia e Domenicantonio Siniscalchi, conquista un punto importante: ora un’altra sezione del Tar Lazio, diversa da quella che ad aprile lo aveva respinto, dovrà decidere sul ricorso, e sentenziare se confermare o annullare lo scioglimento. “Questo dispositivo conferma l’esigenza di chiarezza rispetto ad un provvedimento sul quale fin da subito abbiamo espresso le nostre perplessità – commenta l’ex primo cittadino di Forza Italia – sin dall’inizio eravamo certi che la sentenza del Tar era priva di elementi e di motivazioni che hanno portato ad uno scioglimento che ha colpito l’intera città e che ci ha portato a fare ricorso al Consiglio di Stato. Il testo prodotto dai giudici, stando ai contenuti, farà giurisprudenza”.

La relazione della commissione prefettizia, assorbita nel decreto di scioglimento del Viminale, segnalò collegamenti diretti tra Cimmino ed alcuni esponenti della camorra. Ed in particolare la sua presenza come testimone di nozze al matrimonio di un personaggio di un clan i cui componenti “risultano affidatari di lavori e servizi da parte del Comune stesso”. La relazione dei commissari faceva riferimento anche alla fitta rete di parentele che accomuna ai camorristi non solo i politici, ma anche diversi dipendenti comunali, alcuni dei quali finiti sotto inchiesta.

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