Il magico mondo meloniano non finisce mai di meravigliare. Papà Ignazio Benito La Russa – presidente del Senato, tra i più coerenti col programma di Fratelli d’Italia (prevede di ficcare parenti in ogni ente pubblico) – ha scoperto, per caso, una roba bellissima: uno dei suoi figli è finito nel consiglio di amministrazione del Piccolo Teatro, pilastro della milanesità. Chiaramente lui non c’entra, però un papà non può che essere orgoglioso del prestigio di cui gode il rampollo primogenito.

Il figlio designato è Antonino Geronimo, titolare col padre del floridissimo e omonimo studio legale milanese, nonché membro di altri svariati cda privati (in uno si vede con i figli di Silvio Berlusconi) e pubblici. Sono in coda nella spartizione, per ora, l’ultimogenito Leonardo Apache – musicista, da qualche mese indagato per presunta violenza sessuale – e Lorenzo Cochis (l’anno scorso è stato eletto nel parlamentino di zona in centro città, dov’è, ovviamente, capogruppo di FdI). La nomina formale di Geronimo è arrivata dal Ministero della Cultura: è “retto” da un altro fratello d’Italia, il mitico Gennaro Sangiuliano, che – con lo stesso acume – non solo ha definito il povero Dante (Alighieri) padre di FdI, ha pure designato Gerry come suo rappresentante nel cda del Piccolo.

Evidentemente si sapeva nel giro che Ignazio non gradiva che la sua famiglia, attraverso Geronimo, occupasse soltanto i vertici dell’ACI di Milano (infatti io vado in bici). Tanto più che l’indiscussa competenza nel campo automobilistico rende Gerry adattissimo alla gestione del Piccolo, primo Teatro stabile pubblico in Italia, fondato da Giorgio Strehler e Paolo Grassi il 14 maggio 1947. Infatti il neo consigliere non si tira indietro; per dimostrare la sua preparazione in campo teatrale, fa sapere: “Quel ruolo me lo merito!”.

Purtroppo la “facile” ironia sulle imprese della tribù larussiana diventa meno “facile” quando si considera che sulla facciata dell’edificio in cui oggi si trova il Piccolo Teatro, in via Ravello 2, compare la lapide che si vede nella foto. Collocata dall’Anpi l’1 aprile 1995, recita: “Qui tra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945 hanno subito torture e trovato la morte centinaia di combattenti della libertà prigionieri dei fascisti. Il Piccolo Teatro ha fatto di questo edificio un centro e un simbolo della rinascita culturale e della vita democratica di Milano”.

Perché quel luogo di morte diventò un teatro? Perché subito dopo la fine della guerra due antifascisti milanesi – l’impresario teatrale Paolo Grassi (era stato vicino alle brigate partigiane di Giustizia e Libertà) e il regista di origine triestina Giorgio Strehler (ex partigiano in Valtellina, aveva evitato la fucilazione per un soffio) – si trovarono in sintonia con il sindaco di Milano, il socialista Antonio Greppi. Su cosa? A proposito del progetto di fondare una nuova struttura teatrale, tanto più che le altre erano stati quasi tutte semidistrutte dai bombardamenti. Grassi, che dal 1945 era diventato anche il critico teatrale de l’Avanti!, aveva già tutto in mente.

Come scrive Valentina Garavaglia su Forum Italicum (2020), “fin dai primi articoli pubblicati (su l’Avanti, ndr), Grassi espone, in forma programmatica, la propria idea di teatro: il ‘teatro del popolo’, un teatro inteso come pubblico servizio, costruito sul modello gramsciano, inteso come un fenomeno culturale necessario alla collettività (Gramsci, 1975): ‘Noi vorremmo che autorità e giunte comunali, partiti e artisti si formassero questa precisa coscienza del teatro, considerandolo come una necessità collettiva, come un bisogno dei cittadini, come un pubblico servizio alla stregua della metropolitana e dei vigili del fuoco, e che per questo preziosissimo pubblico servizio nato per la collettività, la collettività attuasse quei provvedimenti atti a strappare il teatro all’attuale disagio economico e al presente monopolio di un pubblico ristretto, ridonandolo alla sua vera antica essenza e alle sue larghe funzioni’ (Grassi, 1946a: 193). Nella Milano liberata, l’idea di Grassi di un teatro con funzione pubblica e la necessità di un intervento da demandarsi in primo luogo alle amministrazioni locali”.

Fatto sta che nel 1947 il Comune assegnò a Grassi e Strehler come sede il Palazzo Carmagnola, conosciuto anche col nome di Broletto, a due passi dal Duomo e dal Castello; sede della Filodrammatica degli impiegati comunali, tra 1943 e 1945 era diventato un luogo di tortura gestito dai criminali della milizia fascista “Ettore Muti”. Erano gli anni della RSI: la Repubblica sociale italiana di Salò, sanguinario Stato-fantoccio mussoliniano controllato dai nazisti e creato alla fine del 1943 nell’Italia non ancora liberata.

Detto questo, la nomina di Geronimo ai vertici del Piccolo pare molto coerente: il fatto che papà Ignazio Benito conservi gelosamente in casa il busto del Duce e non abbia mai perso occasioni per rendere omaggio ai miliziani di Salò, la dice lunga sulla preparazione politica e culturale del rampollo. Così come lascia ben sperare il simbolo di Fratelli d’Italia, ereditato dal MSI di Almirante, che lo aveva a sua volta copiato da quello della RSI (Meloni garantisce che non è ancora il caso di toglierlo). Non resta che consigliare a Gerry di trattenersi almeno per qualche giorno dall’eventuale tentazione di cominciare la sua attività proponendo una riduzione teatrale della marcia su Roma.

Che fare? In prospettiva, mentre si tenta di ribellarsi e di non affogare nella palude, non resta che scommettere sulle nuove nomine post-fasciste: per esempio Apache, in attesa della sentenza, potrebbe essere nominato prima ballerina della Scala; ruolo da pochi giorni affidato indebitamente a Nicoletta Manni, che non è nemmeno una sua cugina di III grado. Siccome la parte dell’étoile scaligera fa gola pure all’ex compagno della premier (meriterà un risarcimento dopo aver perso un incarico analogo a Mediaset…), potrebbero soprassedere. Però in cambio nel solito ambiente gira voce che ad Apache – di professione rapper (col nome di Larus) – potrebbe andare l’incarico di direttore della Filarmonica della Scala. Vedremo.

Per saperne di più (su Grassi e Strehler) cliccare qui:
Tra utopia e riformismo, il teatro pubblico di Paolo Grassi e Giorgio Strehler

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