Fischi e contestazioni al solo nome di Giuseppe Sala nella sinagoga di Milano. È accaduto durante l’evento “Bring Them Home” (“portateli a casa”) organizzato dalla comunità ebraica milanese per commemorare le vittime dell’attacco di Hamas del 7 ottobre e chiedere la liberazione degli ostaggi. Quando la presidente del Consiglio comunale Elena Buscemi, presente a nome dell’amministrazione al posto di Beppe Sala, ha iniziato a leggere un messaggio inviato dal primo cittadino, nel tempio ebraico di via Guastalla sono piovuti fischi accompagnati da un brusio di contestazione.

Pronta la risposta del presidente della comunità ebraica, Walker Meghnagi, che prendendo la parola ha stigmatizzato il gesto: “Non ho gradito quello che molti hanno fatto verso il nostro sindaco. Si può non essere d’accordo, ma questo non si fa”, ha detto. “È il nostro sindaco, noi siamo italiani e milanesi e rispettiamo il sindaco della città”, ha aggiunto. Meghnagi non ha tuttavia mancato di sottolineare la mancata condanna da parte dell’amministrazione comunale delle manifestazioni pro-Palestina dello scorso weekend, durante le quali secondo la comunità ebraica si sono verificati episodi di antisemitismo. “Chiediamo al Comune, che non si è ancora espresso, di condannare le manifestazioni che ci sono state sabato. È assurdo che una città come Milano non abbia il coraggio di esprimersi“, ha detto.

A un mese dallo scoppio della nuova escalation tra Hamas e Israele, il malcontento per l’amministrazione Sala all’interno della comunità ebraica è dilagante. Il sindaco di Milano era stato contestato anche per avere deciso di esporre fuori da palazzo Marino la bandiera di Israele affiancata a quella della pace all’indomani dell’attacco del 7 ottobre. Scelta contestata anche dal presidente del Memoriale della Shoah di Milano, Roberto Jarach, che aveva accusato il sindaco di non visitare da tempo il tempio milanese della memoria dell’Olocausto.

A tornare a mettere d’accordo tutti in sinagoga è stato l’intervento di Liliana Segre: “Nel 1945 avevo 15 anni. Ne ho ’93 e devo ancora essere qui?”, ha detto la senatrice superstite di Auschwitz al suo arrivo. “Se sono qui è perché la ritengo una serata importante. Non mi sento di parlare di questo argomento perché sennò mi sembra di avere vissuto invano“, ha chiarito. Segre ha definito le immagini della guerra “di una tristezza infinita“: vedere le fotografie degli osteggi, ha detto, “mi fa venire in mente quando nel 1945 sono tornata da Auschwitz e a settembre e ottobre venivo tutti i pomeriggi alla comunità ebraica, che era allora in via Amedei. Era pieno di fotografie di gente che non sarebbe mai tornata e mi chiedevano se mi ricordavo di qualcuno”.

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