C’è una roccia alta 500 metri e del diametro di circa 5 chilometri alla base dei fenomeni di bradisismo che stanno scuotendo i Campi Flegrei. È quanto suggerisce uno studio condotto da alcuni scienziati dell’università di Bologna e dell’Ingv, pubblicato sul Journal of Volcanology and Geothermal Research. Il “volume cilindrico di roccia” si trova a circa 2 chilometri di profondità e sta giocando un ruolo importante nella fase di sollevamento della zona alle porte di Napoli che sta provocando centinaia di terremoti, fino a una magnitudo di 4.2. La conclusione alla quale sono giunti gli studiosi escluderebbe quindi la risalita del magma che avrebbe al più un ruolo secondario.

“Questa sorgente di deformazione era già nota per aver contribuito al sollevamento del suolo che si è verificato nell’area dei Campi Flegrei tra il 1982 e il 1984″, spiega Massimo Nespoli, ricercatore al Dipartimento di Fisica e Astronomia “Augusto Righi” dell’Università di Bologna e primo autore dello studio. “I risultati della nostra indagine mostrano come le serie temporali di sollevamento del suolo osservate negli ultimi 18 anni possano essere riprodotte assumendo la riattivazione di quella stessa sorgente deformativa”. In questi episodi di sollevamento – suggeriscono gli studiosi – il ruolo del movimento di magma sarebbe quindi secondario rispetto a quello di fluidi caldi e pressurizzati che si muovono all’interno delle rocce del sistema idrotermale della caldera.

“Anche se il contributo magmatico non può essere escluso – aggiunge Nespoli – i risultati ottenuti con la modellazione fisica di questa sorgente di deformazione, legata all’arrivo di fluidi caldi e pressurizzati, consentono di spiegare efficacemente sia il tasso di sollevamento che l’andamento della sismicità, senza il bisogno di invocare la risalita di magma negli strati superficiali della caldera dei Campi Flegrei”. Lo studio è in controtendenza rispetto alle conclusioni alle quali è arrivata la Commissione Grandi Rischi, stando a quanto riportato dal ministro per la Protezione Civile Nello Musumeci. “L’insieme dei risultati scientifici rafforza l’evidenza del coinvolgimento di magma nell’attuale processo bradisismico di sollevamento del suolo”, ha detto martedì il ministro citando le conclusioni della Commissione.

La caldera dei Campi Flegrei, a ovest della città di Napoli, è una delle aree vulcaniche più popolate al mondo. Si ritiene che in questa zona l’attività vulcanica sia presente da almeno 47mila anni. I due principali episodi eruttivi, che hanno dato forma al golfo di Pozzuoli così come lo conosciamo oggi, si sono verificati circa 39mila e 15mila anni fa, mentre l’ultima eruzione è avvenuta nel 1538. A partire dalla metà del secolo scorso la caldera ha poi subito diversi episodi di sollevamento e abbassamento del suolo, noti con il nome di bradisismo. Negli ultimi decenni ci sono state due importanti fasi di sollevamento del suolo: tra il 1969 e il 1972 e tra il 1982 e il 1984. Durante quest’ultima crisi bradisismica, il sollevamento massimo del suolo – misurato a Pozzuoli – fu di quasi 1,8 metri, e fu accompagnato da più di 16mila terremoti di bassa magnitudo.

Per indagare le cause della fase attuale, arrivata sul tavolo del governo con uno strascico di polemiche per la gestione comunicativa di un possibile – ma ad oggi escluso – passaggio all’allerta di livello arancione, gli studiosi hanno ipotizzato un confronto con la crisi bradisismica del triennio 1982-1984. “La presenza di questa sorgente deformativa era stata evidenziata in passato da studi di tomografia sismica: un’ulteriore conferma arriva ora dall’osservazione di una brusca variazione del rapporto tra il numero di terremoti con magnitudo piccola e il numero di terremoti con magnitudo alta”, conferma Nespoli.

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