Le ruspe sul ghiacciaio del Teodulo sono solo l’ultima palese manifestazione di quella che è – e rimane – la visione corrente del rapporto tra uomo e natura. In Svizzera i lavori di realizzazione della pista per la gara maschile di Coppa del Mondo di sci alpino Zermatt/Cervinia sono usciti dai confini dell’area sciistica, scostandosi dal progetto iniziale; gli organizzatori della gara hanno rinunciato a fare appello alla decisione di fermare parzialmente i lavori, evidenziando solo che le rilevazioni GPS dei loro tecnici avevano dato risultati diversi.

Un banale errore? Certo, può essere, ma evidente sintomo di una mentalità che va per la maggiore: non si discute se sia opportuno o meno procedere, ma solo su come procedere. Ora anche la magistratura italiana vuole vederci chiaro, per la parte di competenza del nostro territorio. Dalla Valle d’Aosta si affrettano a dire che si è “lavorato per tempo per ottenere tutti i permessi e le autorizzazioni”, ma arriva chiaro il messaggio che il contrasto a queste opere è frutto di «visioni miopi, il partito del No ancora una volta ha una posizione di corto respiro, fortunatamente minoritaria, che nega le prospettive dello sviluppo economico della nostra regione, giocando contro alle opportunità che questo evento può offrire al mondo della montagna».

La transizione ecologica è in realtà una transazione economica: l’ambiente va monetizzato, whatever it takes. Al ghiacciaio del Livrio allo Stelvio, uno dei pochi in Europa sui quali è possibile sciare anche d’estate, nonostante le difficoltà si prosegue perché «il ghiacciaio per noi è una risorsa: i posti di lavoro in gioco variano dai 700 ai 900. Se dovessimo chiudere, queste persone sarebbero costrette a emigrare nell’altro emisfero per poter lavorare».

La situazione generale dei ghiacciai europei è in grave crisi. Nel 2019 l’Islanda ha celebrato il funerale del primo ghiacciaio scomparso; in Spagna il più grande ghiacciaio dei Pirenei si è ridotto del 65% negli ultimi 40 anni ed è destinato a sparire entro il prossimo decennio; i ghiacciai svizzeri dal 2001 hanno perso circa il 36% del loro volume. In Italia le cose non vanno meglio: dall’analisi comparata tra il primo Catasto dei ghiacciai italiani pubblicato negli anni ’60 e la nuova revisione del 2016 si evince che è andato perduto il 27% della superficie totale, per la maggior parte proprio in Valle d’Aosta.

Chi improvvisamente si indigna per le immagini degli escavatori postate sul web ha la memoria corta. È dell’agosto 2005 la pista di cantiere realizzata sul ghiacciaio della Marmolada dai mezzi meccanici per consentire il trasporto del materiale destinato al rifacimento del terzo tronco della funivia, una strada di servizio ai lavori larga anche otto metri, con scavo del fronte fino a tre metri di altezza. A seguito della segnalazione di Mountain Wilderness è seguito un processo che nel 2008 ha portato alla condanna degli imputati, condanna ribadita nel processo di appello del 2009 e in terzo grado dalla Cassazione nel 2010, ma ormai il danno era stato fatto. Per loro “si era sempre fatto così”.

Sull’importanza dei ghiacciai tutti concordano: essi rappresentano al tempo stesso una risorsa idrica, energetica, paesaggistica e turistica. Oltre a ciò i ghiacci sono una delle componenti più importanti del sistema climatico e al contempo sono molto sensibili alle variazioni climatiche, delle quali sono i più attendibili indicatori. Ciononostante le modalità per la loro conservazione sono continuamente oggetto di discussione: alcuni esperti affermano che scavi come quello immortalato al Teodulo non influiranno più di tanto su un processo di ritiro destinato comunque a compiersi, quindi tanto vale sfruttare il ghiacciaio finché c’è; altri utilizzano teli termici per rallentarne la fusione allo scopo di sostenere l’attività sciistica e turistica, una soluzione rivelatasi assai poco sostenibile; per altri ancora lo scenario che si presenta porterà alla scomparsa dell’80% dei ghiacciai alpini entro il 2060, i responsabili di tale situazione siamo noi e come tali abbiamo l’obbligo di intervenire.

Una cosa per noi è certa: la montagna è un territorio fragile, che mal sopporta le grandi manifestazioni sportive o lo sfruttamento intensivo, occorre buon senso. Diceva Galilei nel 1600: “L’osservazione de li fatti de la natura ha da anteporsi a li nostri ragionamenti, ancorché essi ne paiano ben fatti”. Era il preludio all’Illuminismo, mentre oggi procediamo a fari spenti.

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