Scritto in collaborazione con Alessio Petronelli

La popolazione olandese ha protestato quasi un mese, bloccando le strade per chiedere al Governo di attuare la misura più rapida per contrastare la crisi climatica: eliminare i sussidi pubblici alle fonti fossili, principale causa delle emissioni di CO2 che distruggono il clima e causano milioni di morti l’anno per l’inquinamento.

Secondo il Fondo Monetario Internazionale, solo nel 2022 sono stati spesi nel mondo 7.000 miliardi di dollari in sussidi per petrolio, gas e carbone. Una quantità enorme di denaro proveniente dalle tasche dei cittadini, speso in attività che avvelenano il pianeta e aumentano le disparità sociali. Quanti benefici per la popolazione di tutto il mondo sarebbe stato possibile ottenere investendo così tanti miliardi in settori come la sanità, la lotta alla povertà e l’istruzione?

L’epoca che stiamo vivendo segna un momento di contrapposizione intorno al tema della crisi climatica, probabilmente la maggiore delle sfide che la specie umana sta affrontando. Da un lato gli attivisti per il clima insieme ad una larga e crescente partecipazione da parte di sindacati, pompieri, medici e numerose altre categorie che chiedono in maniera sempre più netta e condivisa l’eliminazione dei sussidi fossili, e l’utilizzo di quegli stessi fondi in una maniera più equa e produttiva per il benessere delle persone. Dall’altro le multinazionali di gas, petrolio e carbone, impegnate a tutelare il proprio comparto. Gli Stati sovrani assumono posizioni variegate, alcuni più e altri meno zelanti nell’attuare le strategie per la riduzione delle emissioni di CO2 stabilite nelle sedi internazionali. E nel mezzo?

Nel mezzo c’è la popolazione, o forse sarebbe più corretto dire “c’era”. Le ultime ondate di proteste globali hanno sancito quello che potrebbe risultare un punto di svolta nella lotta alla crisi climatica. Le prime tessere di un domino mondiale, il cui esito inevitabile è quello di una transizione ecologica equa e inclusiva. Una di queste tessere fondamentali porta inciso un mese, settembre 2023, e il nome di una nazione, l’Olanda. Migliaia di persone, di ogni genere, età e provenienza sociale, hanno occupato pacificamente l’A12, una delle principali arterie stradali, promettendo di non abbandonare il campo fino a quando il Governo non avesse preso impegni per l’eliminazione dei sussidi ai combustibili fossili.

Se in un primo momento Extinction Rebellion, l’organizzazione promotrice, aveva ipotizzato una possibile partecipazione di 10.000 persone, il numero delle adesioni ha superato già il primo giorno in poche ore quota 25.000. La protesta è andata avanti ogni giorno per quasi un mese, a partire dal 9 settembre, con un totale di circa 9.000 arresti, compresi numerosi minori. Fin dalle fasi iniziali è apparso chiaro come le intenzioni dei manifestanti fossero granitiche: non un passo indietro, a costo della propria sicurezza personale. Nonostante le contromisure anche violente adottate dalle forze dell’ordine, compreso l’utilizzo di cannoni ad acqua e manganelli, e la denuncia ai servizi sociali dei genitori presenti alle manifestazioni insieme ai propri figli minorenni, i manifestanti continuavano a tornare, quotidianamente, per bloccare la strada.

Dai video disponibili sui social media emerge il racconto di settimane certamente dure e complicate, ma anche il ritratto della gioia e della celebrazione di un ideale condiviso. Tra le immagini forse più forti e memorabili figura quella di un’orchestra, decine di musicisti impegnati pacificamente nella disobbedienza civile, che hanno simbolicamente continuato a suonare un’unica grande armonia collettiva, anche dopo esser stati privati dei propri strumenti musicali dalla polizia.

Le forze dell’ordine hanno incontrato, per settimane intere, un’ondata variegata di persone comuni, donne, uomini, bambine, bambini e anziani. Una situazione nuova, davanti alla quale gli esponenti della polizia non hanno potuto fare altro che abbassare i manganelli, chiedere al Governo di ascoltare le ragioni dei manifestanti e trattare. Un atto clamoroso e rivoluzionario, con un esito altrettanto clamoroso e rivoluzionario: dopo 27 giorni di protesta pacifica e quasi 9.000 arresti, il 5 ottobre il Governo olandese ha emanato e inviato al Parlamento una mozione per la riduzione dei sussidi alle fonti fossili. In base all’esito delle votazioni, e all’iter positivo o negativo della mozione, i manifestanti decideranno se scendere nuovamente in piazza e bloccare ancora una volta le strade.

Questo settembre ha aperto uno scenario inedito, dimostrando come la partecipazione popolare e la disobbedienza civile possano ottenere obiettivi concreti e immediati, anche nella lotta alla crisi climatica. Le settimane di protesta olandese hanno ricordato al mondo intero, ai politici, ai governi, ma ancor più alla stessa cittadinanza, quanto sia formidabile il potere di un popolo che unisce le forze.

Nel frattempo l’Italia procede a gambero. Mentre in Olanda la pressione popolare spinge l’esecutivo a compiere passi avanti verso il taglio dei sussidi fossili, il Governo italiano ha di fatto disatteso la Dichiarazione di Glasgow e gli accordi assunti durante la COP26 del 2021, che prevedevano entro la fine del 2022 l’eliminazione dei finanziamenti pubblici all’industria di petrolio, gas e carbone. Non basta: secondo il Fondo Monetario Internazionale, solo nell’ultimo anno il nostro paese ha speso ancora 63 miliardi di dollari in sussidi pubblici al settore fossile.

Non si tratta di una motivazione sufficiente per mobilitarci collettivamente e chiedere al Governo di indirizzare queste risorse ad esempio nella sanità, per garantire il diritto alle cure, nell’istruzione per i nostri figli, o nella lotta alla povertà e alle fragilità sociali? Cosa siamo disposti a fare, individualmente e collettivamente, per rivendicare un utilizzo migliore delle decine di miliardi che lo Stato impiega in sussidi alle fonti fossili?

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