Cinema

Pier Giorgio Bellocchio produttore, cinema di genere e intrattenimento tra nuove leve e vecchi leoni: “Non è escluso che in futuro produrremo un film di Marco Bellocchio”

In sala con La guerra del Tiburtino III, il figlio dell’autore de I pugni in tasca tira le somme di cinque anni di Mompracem, la casa di produzione fondata con i Manetti Bros. “Diabolik? Va valutato sull’incasso dei tre film della trilogia. E il tax credit andrebbe proporzionato”

di Davide Turrini

Il produttore è il mio mestiere. Quando pensi a Pier Giorgio Bellocchio, così al volo, superficialmente, ti viene in mente quando interpreta il poliziotto che accompagna il Favino/Buscetta ne Il Traditore, diretto da papà Marco, come fosse una sorta di angelo custode del bene contro il male. Invece, Pier Giorgio, nome proprio detto in modo amichevole per distinguerlo da Marco, è un produttore di professione che non guarda in faccia nessuno. Assieme ai Manetti Bros, e al compianto Carlo Macchitella, ha fondato da cinque anni la casa di produzione Mompracem che oltre ai film dei Manetti Bros. come Ammore e malavita, ha prodotto e portato in sala la triade su Diabolik (Diabolik- Diabolik, Ginko all’attacco, Diabolik chi sei?) e dal 2 novembre il gustoso divertissement in chiave di comica fantascienza de La guerra del Tiburtino III, diretto da Luna Gualano.

Nell’aria c’è odore di tagli ai fondi pubblici per il cinema e di riformulazione del tax credit…
“L’idea che mi sono fatto, da piccolo produttore, è che come sempre, le ragioni stanno in mezzo. In questo bailamme delle ultime settimane c’è forse stato più qualche errore di comunicazione che di sostanza. Il taglio al ministero della Cultura è un taglio fisiologico, che è stato chiesto di apportare a tutti i dicasteri del governo attuale. Quindi non punitivo di una singola categoria. Poi credo ci sia ancora tempo per portare dei correttivi alla legge che verrà votata”.

Insomma, pochi piagnistei e rimboccarsi le maniche…
“Il disegno di legge sta subendo costanti modifiche perché il nostro è un settore in grande espansione e in mutazione costante. Ogni governo ci mette regolarmente mano. Poi la pandemia ha fatto da ulteriore acceleratore. Semmai dovremmo partire da un calendario certo: sapere in anticipo le scadenze precise per programmare le attività e non aspettare di continuo nuovi cambiamenti. Noi produciamo film su un impegno, come dire, tra gentiluomini o gentildonne. Ad esempio sto producendo tre film e nei nostri piani c’è il tax credit, ma fino a oggi non posso fare una vera e propria calendarizzazione…”

Potresti spiegare ai profani come funziona il tax credit nel cinema?
“Il tax credit restituisce una percentuale di denaro al produttore di ciò che spende sotto forma di una agevolazione fiscale: ammortizzare i contributi, le tasse, i crediti Inps, usando l’F24 che tutti gli italiani conoscono”.

Un difetto del tax credit?
“Esiste un problema di proporzioni. Ora legge non fa distinzione, ed è un principio democratico giusto, e tende a premiare i più grossi ma a non avere un occhio di riguardo per i più piccoli. Faccio un esempio. Non dovendo passare da una commissione giudicante, se sono un produttore che ha la forza di mettere in piedi un film da 30 milioni di euro, il tax credit mi ridà indietro il 40%. Idem se faccio un film da 4 milioni di euro. Ma se tre grandi produzioni si prendono il 60% del budget totale del tax credit, che rimane quello o diminuisce, per gli altri rimangono pochi soldi. La legge oggi funziona così senza entrare nel merito di cosa si produce. È giusto che il mercato non faccia distinzioni, ma si possono fare correttivi percentuali verso il basso.

La maggioranza di centrodestra si è riferita al mondo della produzione cinematografica italiana sostenendo che una parte è composta da “ricchi e privilegiati”…
“Sono luoghi comuni che mi fanno ridere. In realtà esiste un mondo dell’audiovisivo e del cinema, come in tutti gli altri settori industriali dove ci sono ricchi e privilegiati, i furbi che cercano di aggirare le leggi, infine una grande fetta di mezzo che è onesta e sana e che prova a fare cose come vanno fatte. Non sono ricchi, non rubano, ma rischiano di essere penalizzati”.

A questo punto va chiesto: ma chi te l’ha fatto fare?
“Ho iniziato da giovanissimo, quando avevo 18 anni, con Il principe di Homburg. Fin dal liceo in estate rinunciavo alle vacanze. Ero fissato: dovevo capire come si facevano i film, comprendere i meccanismi produttivi, non la regia. A 20 anni ero già un ottimo produttore esecutivo, ma erano gli anni Novanta, veramente un altro mondo. Certo, per un periodo ho dato più spazio al lavoro d’attore, però quel fuoco, quell’ambizione, quel desiderio di essere non trascinato ma essere il trascinatore ce l’hai e non te lo insegnano. Ancora oggi combatto e mi diverto. Ci sono mestieri più semplici, meno faticosi, ma quello del cinema si porta avanti più per vocazione e passione”.

Quale è stato il più grande cambiamento del settore tra gli anni Novanta e oggi?
“L’avvento delle piattaforme streaming. Un canale distributivo totalmente nuovo che rapidamente ha preso il sopravvento su tutti gli altri e trasformato del tutto le regole del gioco in maniera sostanziale. Le piattaforme hanno avuto grande influenza dal punto di vista editoriale. Prima il soggetto principale era il film, oggi la serie. Tutti vogliono fare le serie: gli attori, gli sceneggiatori, i macchinisti, le maestranze. Sia perché i risvolti narrativi possono essere più approfonditi, sia perché negli addetti ai lavori si riduce l’ansia da precariato. Il cinema è il lavoro più precario che esista. I set dei grandi film durano sei/sette settimane: oggi con la serie durano 24 settimane. Se te ne fai due in un anno, hai lavorato sempre”.

Domanda cattiva: un pensierino a Diabolik in forma seriale ce l’avete mai fatto?
“Senza entrare nei meriti creativi, e ce ne sono tanti, quella di Diabolik è stata un’operazione produttiva importante. Abbiamo realizzato tre film in tre anni spendendo lo stesso budget con cui una serie di produttori quest’anno in Italia hanno prodotto un film solo”.

Economie di scala…
“Il risultato commerciale di Diabolik va interpretato sugli incassi di tre film. Ora uscirà il terzo capitolo e all’inizio del 2024 vedremo quanto avrà incassato. Sommeremo l’incasso dei tre film da cui detrarremo la spesa di tutti e tre: questa sarà l’unità di misura e paragone per questo prodotto. Poi, chissà, probabile che la scena diabolika non si sia esaurita”.

Mompracem è nata con un’idea estetica produttiva più popolare?
“Perseveriamo nella ricerca editoriale per cui siamo nati: prediligiamo e vogliamo portare in auge il cinema di genere, qualunque esso sia. Un cinema che vada verso il pubblico e che sia di intrattenimento. L’idea è quella poi di trovare giovani autori e storie non banali o superficiali. Siamo una società piccola, ma abbastanza consolidata. Produrre tanto per produrre non ci interessa. Vogliamo lasciare un segno. Un esempio che esemplifica la nostra missione è proprio La Guerra del Tiburtino III.

Perfetta illusione, prodotto da Mompracem, era un film bellissimo e meritava di essere stravisto…
“Nella ricerca dei registi la direzione è cercarne di nuovi, ma anche rivalorizzare talenti del secolo scorso come Pappi Corsicato. Talenti messi da parte dal mercato, ma che sono ancora un patrimonio. Nel cambiamento, molti sono rimasti un po’ tritati e invece Pappi può dare ancora tanto. Ci vuole anche esperienza. L’anno prossimo produrremo un film di Daniele Vicari, ad esempio. Cerchiamo un equilibrio tra gli elementi”.

E Marco (Bellocchio, padre di Pier Giorgio ndr) che dice di questa avventura professionale, dà giudizi?
“Lui è solidale con il nostro percorso. E attenzione: non è detto che nel prossimo futuro Mompracem non sviluppi un progetto insieme a lui. Marco è un regista così giovane e brillante, perfettamente in linea con quello che Mompracem cerca”.

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