I settori dei servizi ad alto valore aggiunto come banche e assicurazioni, insieme ovviamente al settore energetico, sono stati i soggetti economici che hanno tratto grande vantaggio dall’inflazione bellica. Dove sono andati a finire questi corposi extra-profitti? Non certo nelle casse dello Stato. Il governo Draghi prima, e ancora meno ora il governo Meloni, non sono stati in grado di realizzare un decente intervento fiscale per socializzare almeno una parte di queste entrate straordinarie.

Una prima via seguita dalle imprese è stata quella di favorire gli interessi degli azionisti attraverso il riacquisto di azioni proprie. Riducendo il numero di azioni in circolazione, in maniera automatica e con minori tasse, gli azionisti incamerano consistenti aumenti del valore delle loro azioni.

Ora si è giunti ai rinnovi contrattuali e anche l’era della grande moderazione sembra tramontata. A muoversi in maniera decisa in questa direzione sono le sigle sindacali dei bancari, che chiedono nella piattaforma del rinnovo contrattuale, tra molte altre cose, anche un aumento di 435 euro mensili per una figura professionale tipo che guadagna circa 2.900 euro lordi mensili. Si tratta quindi di un aumento molto consistente in termini assoluti, ma soprattutto in termini percentuali, che corrispondono ad un 15%. Questo aumento è giustificato da due condizioni: il recupero dell’inflazione e l’aumento di produttività. Per dare un’idea dell’azzardo contrattuale, il governo ha stabilito per il 2024 un incremento una tantum, sempre per recuperare l’inflazione, per i medici di 1.500 euro, ma annuali, e per i docenti di 1.200 euro, sempre annuali.

Lo scarto tra il settore pubblico e quello bancario è veramente macroscopico. Questa dinamica settoriale molto diversificata è tipica dei periodi di elevata inflazione che creano di per sé diseguaglianze. In definitiva, i 280mila bancari italiani non vogliono pagare il conto dell’inflazione che stanno pagando tutti gli altri, dipendenti pubblici ma anche dipendenti privati. Chiaramente una richiesta del genere di quella dei bancari spalmata su tutta l’economia farebbe saltare il banco e quindi è un privilegio per ora limitato a questo settore sempre molto protetto.

La domanda che ci si pone è: da dove derivano le risorse per questa anomala, nel contesto attuale, richiesta sindacale? Ovviamente dagli extra-profitti delle banche che stanno gonfiando i bilanci del settore. E qui si apre un problema economico, oltre che etico. Questi profitti aggiuntivi provengono solo in maniera modesta da un recupero di efficienza, che vorrebbe dire in sostanza pensionamenti; ma in maniera sostanziale dalle politiche esogene della Bce. È l’aumento del tasso ufficiale di sconto che ha determinato questa situazione favorevole per i bilanci delle banche. Va da sé che siano di fronte semplicemente da una tassa di inflazione che le banche fanno pagare ai loro clienti, debitori ma anche risparmiatori. Ne sanno qualcosa i mutuatari, che hanno visto raddoppiare le rate del loro mutuo. Le banche hanno tranquillamente incassato questo dividendo da guerra in corso. Potevano percorrere una strada differente? Certamente, cioè quella di una maggiore efficienza economica a favore dei clienti. Non risulta infatti che il tasso di interesse sui conti correnti sia aumentato in maniera significativa. Per ottenere qualcosa in più bisogna recarsi personalmente in banca e iniziare una contrattazione a volte anche antipatica. Solo recentemente le banche stanno proponendo ai risparmiatori scelte finanziarie un po’ in linea con l’inflazione.

Gli economisti distinguono due tipi di istituzioni economiche: quelle produttive e quelle estrattive. Le prime creano ricchezza e opportunità, le seconde si limitano semplicemente a sfruttare la loro posizione di rendita e sono parassitarie. Non c’è dubbio che le banche in questo periodo appartengano alla seconda categoria. Invece che agevolare i prestiti per famiglie e imprese, si sono limitate a riversare i maggiori oneri sui clienti, incamerando notevoli profitti. Si stanno opponendo fieramente alla tassa sacrosanta sugli extra-profitti, hanno chiamato in causa le regole di mercato per tartassare i debitori, ma si stanno dimostrando enormemente generose con i loro dipendenti.

Come sempre l’inflazione è un gioco di potere che ridisegna la distribuzione della ricchezza e fa rinascere tendenze corporative. È del tutto naturale che i bancari al rinnovo contrattuale difendano il loro potere di acquisto, presente e futuro. Tuttavia non possono pensare di essere gli unici a sottrarsi al balzello dell’inflazione e ragionare come se le loro azioni non avessero conseguenze sull’economia. Anche perché gli aumenti che loro otterranno saranno pagati semplicemente dall’aumento del tasso di interesse di chi acquista una casa oppure fa dei nuovi investimenti. Ora tentando di nuovo l’assalto al cielo con richieste molto pesanti, con conseguenze che poi ricadranno su tutti.

Comunque, se proprio non si può fare a meno, meglio dare questi svariati miliardi di costo complessivo ai lavoratori che regalarli agli azionisti ricomprando le azioni proprie. Meglio ancora però sarebbe aiutare l’economia reale con prestiti a tassi decenti e remunerando anche il risparmio, a tassi pure decenti.

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