C’è in atto una diaspora degli italiani pari a quella degli anni Cinquanta del secolo scorso, quando l’economia italiana era ancora largamente contadina e stava industrializzandosi pienamente, che vede il flusso degli italiani emigrati all’estero per il periodo 2011-2021 arrivare a quasi 1,3 milioni: tre volte tanto i dati forniti dall’Istituto nazionale di statistica. A dirlo è un rapporto della fondazione Nord Est pubblicato insieme al network di professionisti italiani nel Regon Unito, Tiuk, Talented Italians in the UK, che fotografa per la prima volta le proporzioni storiche del brain drain, la fuga di cervelli, dall’Italia.

Secondo i ricercatori esiste infatti una sproporzione tra i dati Istat e quelli reali, dovuta al fatto che quando si cambia Paese, nonostante sia obbligatorio prendere un domicilio ufficiale o cambiare residenza nel luogo di arrivo, molti migranti decidono di mantenere la propria residenza italiana, sfuggendo così all’osservazione ufficiale dell’Istat. In media ponderata, gli emigrati “reali” sono dunque 3,2 volte quelli dichiarati e arrivano appunto a 1,3 milioni di persone fra i venti e i 39 anni, fuggite dal Belpaese, nell’ultimo decennio.

A suffragare questa tesi è il caso della Regno Unito. In seguito alla Brexit sono le regole relative al diritto di residenza, cosa che ha costretto diversi cittadini intenzionati a rimanere nel Paese a presentare una richiesta apposita per vedersi riconosciuto qualcosa in precedenza compreso nel diritto comunitario. Le domande presentate a seguito dell’uscita del Regno unito dall’Unione europea sono state tra 1,5 e 2 volte il dato condiviso dall’Aire per i residenti italiani in UK. “La diaspora – cita lo studio – è ripresa nel secondo decennio degli anni Duemila a e ha via via preso maggiore consistenza. Il flusso è caratterizzato dall’età giovane delle persone, con residenti dai 20 ai 30 anni, e da un più elevato grado di istruzione, con il 30% di laureati nella stessa coorte, contro il 28% per il totale dei coetanei. Un quarto di chi lascia il Paese di origine non ha tuttavia completato le scuole superiori”.

Il divario tra i numeri ufficiali e quelli reali è emerso incrociando i dati Istat con quelli degli uffici statistici degli altri Paesi europei. Il caso del Regno Unito è stato analizzato con particolare implicazioni per via della peculiare situazione del Paese, che uscendo dall’Ue ha cancellato lo status di permanent residence, il permesso di soggiorno permanente, che consentiva automaticamente ai cittadini europei di risiedere e lavorare liberamente, senza dover seguire una procedura burocratica formale. Da febbraio 2020 si è invece reso necessario registrarsi allo Eu Settlement Scheme14 e fornire una prova di residenza permanente e continuativa nel Paese. La procedura che si è conclusa a fine giugno 2021, ha visto l’Italia collocarsi al terzo posto per richieste di permessi in Uk, seconda solo a Romania e Polonia, e contando 606 mila richieste divise quasi equamente fra settled e pre-settled Status (persone che avevano risieduto nel Regno Unito per un periodo superiore ai cinque anni o che vi avevano soggiornato negli ultimi sei mesi). “L’uscita del Regno Unito dall’Ue – scrivono i ricercatori – ci consente, quindi, di evidenziare l’ampia sottostima dei registri Aire, che nel caso specifico si è rivelata in difetto per circa 200mila connazionali sui 450mila registrati a fine 2021”.

Articolo Precedente

Consiglio Ue verso la richiesta di “pause umanitarie a Gaza”. Michel: “Dimostriamo di essere uniti”

next
Articolo Successivo

Von der Leyen: “L’anno prossimo tornano le regole del Patto di stabilità”. Scholz: “Per la riforma strada è lunga”

next