Niente più Iva al 5% per i prodotti per l’infanzia e per gli assorbenti, la cosiddetta tampon tax. La bozza della manovra prevede infatti che latte in polvere e preparazioni per l’alimentazione dei bimbi, così come assorbenti, tamponi e coppette mestruali, passino tra i prodotti soggetti all’Iva al 10%. Che quindi viene raddoppiata nel giro di un anno. “Non confermiamo il taglio dell’Iva”, si è giustificata la premier Giorgia Meloni in conferenza stampa subito dopo l’approvazione, “perché purtroppo il taglio dell’Iva è stato nella stragrande maggioranza dei casi assorbito da aumenti di prezzo e quindi non penso che valga la pena di rinnovare la misura”. Una mossa contestata però dalle associazioni dei consumatori che accusano il governo di rinunciare a un intervento sui prezzi di beni ritenuti fondamentali per le famiglie e le donne. Intanto, il governo ha anche confermato il congelamento per altri sei mesi, fino a fine giugno, di plastic e sugar tax. Le due imposte, introdotte con la manovra per il 2020 e mai entrate in vigore, dovrebbero quindi scattare dal 1 luglio 2024, salvo ulteriori interventi.

La “riduzione dell’aliquota Iva sui prodotti e servizi per l’infanzia” era stata promessa dalla coalizione di centrodestra nel suo programma elettorale in vista delle elezioni politiche del 25 settembre 2022. E l’anno scorso il governo aveva infatti portato l’Iva su questi prodotti dal 22 al 5%. I dati quest’anno, dopo un monitoraggio, mostravano una diminuzione dei prezzi molto minore delle attese per pannolini e seggiolini auto. L’aumento medio dei prezzi ha annullato i risparmi generati dalla riduzione dell’Iva. Da qui probabilmente la decisione e la marcia indietro-

Era stato il governo Draghi, dopo anni di polemiche, il primo a intervenire sulla tampon tax: gli assorbenti femminili erano soggetti a Iva del 22%, ed erano quindi considerati beni ordinari, come vino, sigarette e vestiti. All’epoca, dunque, gli assorbenti in Italia erano tra i più costosi in Europa. Il tema è dibattuto da anni perché ritenuto uno delle tante facce della discriminazione verso le donne.

“Il governo ha un talento straordinario nel rimangiarsi le promesse”, ha protestato la presidente di Adoc (Associazione per la difesa e l’orientamento dei consumatori) Anna Rea. “La scelta va nella direzione opposta a quel che dichiara. Il tema non è portare dal 5% al 10% l’Iva su tali prodotti perché i prezzi non sono diminuiti, anzi sono aumentati, dato che la maggior parte dei commercianti non ha ridotto i listini al pubblico. La ragione va ricercata nella speculazione e nella mancanza di controllo dei prezzi“. E ancora: “Si tratta di una brutta notizia per un Paese in cui la natalità è un grave problema per il futuro. In un quadro economico per le famiglie già disastrato dal caro vita, crescere i figli costa: solo per l’acquisto dei pannolini, le famiglie spendono mediamente in un anno 726 euro l’anno a figlio; per gli alimenti per bambini si sono registrati nel corso del 2023 aumenti del 15,2%”. Quindi ha aggiunto: “Ci auguriamo che il governo non sia miope e faccia marcia indietro, attivando tutte le misure per rendere effettiva la riduzione dell’Iva e, soprattutto, si impegni concretamente a calmierare tutti i prezzi dei prodotti per l’infanzia e la cura monitorando a livello territoriale con le strutture che noi stessi consumatori abbiamo proposto da tempo e dotando di potere di intervento il Garante dei prezzi”.

Per Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, “siamo alle comiche”: “Al di là del fatto che il provvedimento è stato un flop, visto che i commercianti non hanno traslato la riduzione dell’Iva sul prezzo finale, è chiaro che ora invece il rialzo dell’Iva farà aumentare i prezzi”.

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