Ci sarà un processo per il bus che precipitò il 22 luglio 2021 a Capri nel vuoto, e solo per un caso non ci fu una strage tra i passeggeri e la spiaggia sottostante la strada provinciale 66. Morì però il conducente, Emanuele Melillo, che ebbe un malore alla guida, perdendo il controllo del mezzo, e ci furono 23 feriti tra i passeggeri. Tra le contestazioni mosse dalla Procura e accolte dal Gip, ce n’è una che ricorda i tragici fatti di Mestre: l’aver lasciato su quel tratto di strada di Capri un semplice parapetto “non idoneo a contenere la fuoruscita dei veicoli (bus turistici e automezzi)”, senza aver piazzato al suo posto la barriera di protezione sollecitata da alcune segnalazioni scritte firmate dai funzionari dell’ufficio tecnico provinciale. Il processo inizierà il 28 dicembre davanti al giudice unico di Napoli con tre imputati: Alessandra Improta, Giancarlo Sarno e Alfredo Villa. La prima è il medico dell’Atc (Azienda Trasporti Capri), il secondo è il rappresentante legale dell’azienda, il terzo è il dirigente responsabile della gestione tecnica strade e viabilità della città metropolitana di Napoli.

Al medico dell’Atc la Procura di Napoli – rappresentata in udienza preliminare dal pm Giuseppe Tittaferrante – contesta di non avere sottoposto a visite di controllo l’autista deceduto, che soffriva di gravi patologie invalidanti sin dal gennaio 2020 e senza sottoporre l’autista a una sorveglianza sanitaria periodica “che avrebbe consentito di accertare l’abituale assunzione di cocaina da parte di questo ultimo”, si legge nella richiesta di rinvio a giudizio firmata dal pm Maurizio De Marco. Mentre al legale rappresentante dell’azienda di trasporto caprese si contesta di non avere sottoposto a controlli il lavoratore nonostante fosse passato dal ruolo di bigliettaio a quello più delicato di autista. Il dirigente tecnico infine è accusato di “non essersi attivato per verificare la pericolosità della situazione segnalata, né dava incarico per la progettazione ed esecuzione dei lavori necessari alla messa in sicurezza del tratto viario in questione” nonostante una segnalazione scritta sulla pericolosità di quel tratto risalente al 10 gennaio 2020, firmata da due ingegneri, un architetto e un geometra “all’epoca dei fatti funzionari della sua direzione”. Il mezzo arrivò sul punto dell’impatto a una velocità di circa 35 km orari. Fu sufficiente ad abbattere la ringhiera e a precipitare in una scarpata per circa 15 metri “fino a impattare – si legge negli atti giudiziari – con un muro di contenimento posto alle spalle di una spiaggia pubblica”.

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