Stante il fatto che quello di mollare Andrea Giambruno sia probabilmente il primo provvedimento pienamente condivisibile da quando è al governo, è, scherzi a parte, comunicativamente, socialmente, antropologicamente e istituzionalmente parlando che il post di Giorgia Meloni, quello con cui lascia il compagno reo di comportamenti molto poco ortodossi, rappresenta un vero e proprio punto di non ritorno nella storia del nostro Paese. Provo perciò a spiegarne il motivo.

Da anni i politici, finanche le più alte cariche dello Stato, hanno adottato, assistiti da team di specialisti, la tipica comunicazione degli influencer, abituandoci gradualmente, come nella celebre rana bollita di Chomsky, a messaggi, commenti e opinioni del tutto avulsi dal loro ruolo e mandato istituzionale, con lo scopo, sottinteso e mai apertamente dichiarato, di allargare e fidelizzare il proprio bacino elettorale: frequentazioni e impegni extra-istituzionali si alternano a momenti di vita familiare, consigli non richiesti e sketch di dubbia qualità in una sorta di centrifuga mediatica che tutto ammette e tutto trasmette.

La vita privata, core business dei più celebri influencer, è così entrata, passo dopo passo, nella comunicazione politica fino al punto di non ritorno, la messa in pubblica piazza di uno dei momenti più dolorosi e intimi della vita di una coppia, la separazione. Meloni, a mezzo post, molla il compagno con un’operazione mediatica che, divenendo di pubblico dominio, si presta senza ombra di dubbio a una molteplicità di giudizi possibili. L’unico giudizio però che qui mi interessa esprimere riguarda a ogni buon conto il piano comunicativo, perché con ogni buona evidenza il post di quella che, occorre ricordarlo, è la Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana punta, come atto finale di una lunga tradizione social, alla moltiplicazione dei piani comunicativi, tra i quali ve n’è uno specifico che pone lei stessa, la terza più alta carica dello Stato, alla stregua di qualsiasi altro personaggio pubblico non investito di responsabilità istituzionali.

Il fine, inaugurato col libro “Io sono Giorgia”, è quello di far empatizzare il pubblico col proprio privato e allargare il consenso al punto tale da ricevere gli endorsement finanche di quelli che dovrebbero essere i propri avversari politici, desiderosi di prendere, sulla scia della grande ondata di consenso, il proprio pezzettino di visibilità: è tutto, in queste ore, un rimpallo di manifestazioni di solidarietà, e la gara a piantare la propria bandierina nella sitcom di casa Meloni è a dir poco frenetica.

Quello però che preoccupa è il vistoso venir meno ad una regola non scritta ma di assoluto buon senso: lasciare che la vita privata delle pubbliche istituzioni, salvo i casi di rilevanza giuridica, resti privata, senza che la stessa vada dunque a inquinare il giudizio dell’opinione pubblica, ragionevolmente indirizzato, per quanto riguarda le cariche istituzionali e ancor più quelle elettive, al solo ed esclusivo operato istituzionale. Meloni e il suo team di comunicazione hanno così sapientemente utilizzato una vicenda personale a proprio esclusivo vantaggio, giocando d’anticipo rispetto ai giornali, alle televisioni e all’intero sistema mediatico e traendo un’opportunità da quello che poteva essere un vistoso motivo d’imbarazzo. A perderci, però, è la percezione stessa della politica, che soprattutto in momenti storici tanto tragici, complessi e delicati dovrebbe saper mettere da parte ogni questione privata per dedicarsi con tutte le sue forze e la serietà necessaria al bene del proprio Paese.

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