“Sono abitualmente dediti non soltanto al download di copioso materiale di propaganda e apologia del jihadismo” ma “anche alla condivisione di questo materiale” e “quindi sono dediti a una consapevole e deliberata attività di proselitismo via social a favore dell’Isis”. Il giudice per le indagini preliminari di Milano, Fabrizio Filice, ha respinto la richiesta degli arresti domiciliari presentata dai legali dei due uomini arrestati martedì scorso con l’accusa di associazione all’Isis in un’inchiesta della procura milanese. Rafaei Alaa e Nosair Gharib Hassan Nosair Mohamed, 44 e 49 anni, difesi rispettivamente dagli avvocati Emanuele Perego e Massimo Lanteri, devono quindi rimanere entrambi in carcere.

Secondo quanto ricostruito dalle indagini della Digos e della Polizia postale, coordinate dal procuratore Marcello Viola e dal pm Alessandro Gobbis, gli arrestati, entrambi di origine egiziana, avrebbero portato avanti su gruppi online “una consapevole e deliberata attività di proselitismo via social a favore dell’Isis“, oltre che finanziamenti per circa 4mila euro totali destinati a vedove di combattenti jihadisti. Comparse online, da parte del più giovane, anche minacce alla premier Giorgia Meloni.

“Non faccio parte dell’Isis – ha detto Rafaei difendendosi davanti al gip -, mettevo dei commenti di approvazione soltanto alle loro azioni contro il regime siriano. I soldi versati alle donne, poi, erano una forma di beneficenza e le frasi contro Meloni erano solo una critica politica“. Anche l’altro arrestato ha spiegato che si trattava soltanto di “manifestazioni di simpatia per l’Isis in un periodo in cui combatteva contro Assad in Siria e in Iraq per riscattare le masse disagiate”. Quando ha capito “che lo Stato islamico era quello che era” si sarebbe quindi “dissociato”.

“Ho presentato istanza di scarcerazione con richiesta di arresti domiciliari, dopo un’interlocuzione con il pm valuterò se presentare ricorso al tribunale del Riesame. Il mio assistito ora si è reso conto che quello che stava facendo è un reato, non sapeva che mettere un like o vedere e condividere questi filmati fosse un reato. Ha commesso una leggerezza con superficialità. Ha reagito piangendo, è distrutto perché pensa alla sua famiglia” ha dichiarato Emanuele Perego, legale di Refaei.

Il 44ebbe è accusato di apologia dello Stato Islamico sui social, insulti antisemiti, minacce a “cariche istituzionali italiane” e di aver inviato soldi in Medioriente (Yemen e Palestina) a sostegno della donne dello “Stato islamico. “Siamo tutti esseri umani – prosegue Perego – conosco sia il giudice che il pm, so che sono persone serie e garantiste quindi auspico che non si faranno condizionare dal contesto internazionale. So che sarà una scelta sofferta che potrà andare anche contro corrente rispetto al clima generale, però bisogna contestualizzare la vicenda, valutarla nella reale consistenza e lieve gravità. Sono sicuro che il giudice non si farà condizionare dall’attentato di Bruxelles e dalla guerra tra Palestina e Israele.

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