Napoli, lunghe e lucenti giornate di una seconda decade d’ottobre pressoché estiva. Location: il San Carlo, il Museo Madre e poi il teatro Augusteo nel bel mezzo di una via Toledo straripante di gente. Qui intorno la vitalità è la stessa – pulsante, fervida, noncurante, distaccata, incrollabile – dei tempi pre-social. Solo una Barcellona può forse competere in tal senso con la città di Totò e Pino Daniele, e di tanta prodigiosa cultura stratificata nel corso dei secoli. E ogni bar vanta il suo piccolo Massimo Troisi latente.

Tra una pizza in via dei Tribunali e un salto a Palazzo Reale, una sfogliatella in piazza Dante e un’incursione ai quartieri spagnoli (sempre più turistici), abbiamo riempito ulteriormente il nostro spirito prendendo parte alla 28esima edizione di Artecinema (a cura di Laura Trisorio). Qualcosa di intimamente prezioso. Un festival internazionale di film sull’arte contemporanea con un‘antologia di documentari di nuova produzione incentrati sulle biografie e le poetiche dei maggiori artisti, architetti e fotografi della scena globale. Moderna e coeva.

Numerose le prime visioni assolute. Gli aspetti e i risvolti meno conosciuti della loro genesi creativa. I materiali adoperati e i temi privilegiati, i segreti delle rispettive fucine, la visione delle cose. Ad aprire la rassegna è stato Anselm di Wim Wenders: per più di due anni l’epocale cineasta tedesco ha seguito, da par suo, da vicino Anselm Kiefer, tra gli artisti più innovativi del nostro tempo. Dalla Germania natia alla sua casa attuale in Francia, cinque decenni di carriera. Un’indagine sull’esistenza umana e la natura ciclica della storia per interposto collega d’arte, attraversando letteratura e filosofia, religione e scienza.

Nel suo “Tutta la bellezza e il dolore” Laura Poitras ha puntato invece i riflettori sulla vicenda della fotografa Nan Goldin, tra le attiviste più battagliere nella lotta contro l’azienda farmaceutica della famiglia Sackler, responsabile di quella dipendenza da oppioidi che negli ultimi venticinque anni ha generato negli Stati Uniti una lievitazione dei morti per overdose da farmaco. Alejandro Lasala e Victoria Combalía hanno ricordato, in chiave risarcitoria, la figura di Dora Maar, rivendicando la sua autonomia rispetto alla presenza soverchiante di quel Pablo Picasso a cui fu legata da una travagliata relazione amorosa.

Tra le opere d’autore che abbiamo visto con sommo piacere, “Il padiglione sull’acqua” di Stefano Croci e Silvia Siberini (un viaggio nell’immaginario dell’architetto veneziano Carlo Scarpa, lastricato da una passione profonda per la cultura giapponese) e “Ask the Sand” di Vittorio Bongiorno (in foto, un trip iniziatico e post-psichedelico on the road, di padre e figlio, alla ricerca della città-utopia di Arcosanti, costruita nel 1970 nel deserto dell’Arizona dall’architetto Paolo Soleri). Di quest’ultimo, un gigante, un visionario, ricorrono quest’anno dieci anni dalla scomparsa.

In sala c’era Giancarlo Solimene, figlio dell’altrettanto leggendario ceramista che nel 1950 gli aveva commissionato l’ideazione e la realizzazione della sua celebre e iconica fabbrica a Vietri su Mare. Un misto tra Gaudì e Wright, che del resto era il suo maestro. Una delle strutture più sui generis d’Italia.

E come restare impermeabili alle suggestioni dell’“Infinito. L’universo di Luigi Ghirri” (di Matteo Parisini), doc sul grande fotografo emiliano prematuramente scomparso dopo averci lasciato un alfabeto di ordinarie, straordinarie tranche de vie di una provincia mai stata tanto passibile di eternità. Mai stata così “epica, etica e trasudante pathos”, la pianura padana, parafrasando il titolo dell’immortale copertina dei Cccp che aveva concepito lui stesso.

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