Torno a scrivere di poesia. Anche se, a farlo ora, con un mondo travolto da inutili massacri, che danza sull’orlo dell’abisso, magari a qualcuno potrà apparire di cattivo gusto.

Ma la poesia, arte irrilevante e poverella, reclusa com’è nella sua gabbietta da pettirossa, sempre pronta a fare da alibi cinguettante a tutti i marci buoni sentimenti d’ogni era, se solo riuscisse ad aprire quella porticina e a volare via, proprio per la sua irrilevanza, forse potrebbe volare tanto alto da tornare a suggerirci quanto le parole con cui nominiamo il mondo siano fondamentali, soprattutto in un mondo come questo, in cui praticamente ogni parola (pubblica e non di rado privata) è ormai sinonimo di menzogna.

È ciò che non rileva, che non è rilevato, nella realtà dell’apparenza e della visibilità mannare, in quella del controllo totale della parola e del pensiero prima ancora che dei corpi, a poterci permettere, forse, di giocare di nuovo il gioco che ci consenta di immaginare il futuro. Di dare nome al nostro desiderio.

Dunque forse ne vale pena, proprio adesso, a contropelo.

Lo farò a partire dalla prima edizione del già celeberrimo Premio Strega Poesia.
Ma non, come qualcuno tra voi (lettrici e lettori maliziosi) starà immaginando, per lamentarmi dei suoi risultati, né – meno che mai – per denunciare il patente, e per molti versi ridicolo, conflitto di interessi che lo ha coinvolto sin da questa sua prima evenienza, con un Comitato scientifico messo su permettendo la partecipazione della proprietaria di una certa casa editrice e dell’editor di una certa altra, che non hanno mancato, com’è ovvio che fosse, di ficcare tra i cinque Magnifici e Magnifiche, due autori della propria scuderia.

Che volete che si debba dire su una faccenda del genere, tanto patente?
Ovunque nell’orbe sarebbe stato motivo di scandalo, minando le radici d’ogni attendibilità ed autorevolezza. Tranne che qui, da noi, dove, anzi, rischia di conferire – a quelle case editrici e ai loro paladini e paladine – ancor più prestigio e attendibilità (che qui da noi, in questa sconsolata provincia dell’Impero, sono sinonimi solo e soltanto di potere).
Il conflitto d’interessi è uno dei vanti nazionali, patrimonio prezioso che porta al Famedio. Siamo nella normalità patria.

A quel Premio, peraltro, ho partecipato anche io e conoscevo i nomi dei giurati: avrei potuto (e dovuto, col senno di poi) farne a meno e, se si accetta di partecipare a un Premio, poi sui risultati si tace.

No, io voglio parlare dello Strega poesia perché ben altro, culturalmente parlando, è stato il vero scandalo di questa prima edizione e cioè le modalità di svolgimento della sua sezione Giovani. Una sezione così esiste anche per il ben più blasonato premio di narrativa. E lì, ai Giovani, vengono inviate copie dei romanzi in gara. Copie integrali, intendo.

Per la poesia no, per la poesia l’organizzazione ha pensato bene di inviare ai Giovani solo una selezione (una silloge, han pomposamente detto) dei testi di ciascuno dei libri finalisti: una sorta di versione Reader’s Digest dei testi in gara.

La cosa è davvero incomprensibile: ormai sin dai tempi del Canzoniere petrarchesco i poeti e le poete del mondo intero non si limitano a scrivere poesie, ma, pensate un po’, scrivono libri di poesia, organismi nei quali il tutto è ben più della somma delle sue parti, in cui ogni testo stabilisce rapporti complessi con tutti gli altri.
Perché farli a pezzi?

In una nazione in cui, sin dalle scuole, si insegna ai ragazzi che gli scrittori scrivono romanzi e i poeti singole poesie, in cui nessun docente dotato di senno oserebbe dar loro da leggere un intero libro di poesia, invece dei soli 2 o 3 romanzi che funestano le estati di tutti i nostri ragazzi sin dalle medie, in questo sfigatissimo paese dove si arriva alle soglie dell’università con la scuola che ti ha dato, per nutrire il tuo immaginario e il tuo linguaggio, soltanto poesie sfuse e decontestualizzate (tre etti del Canzoniere, duecento grammi dei Canti leopardiani, duecentocinquanta di Ossi di seppia, ma – per carità – tagliato fino), ecco, in un paese del genere, in cui è precluso inoltre ogni contatto tra i poeti vivi e il sistema di istruzione, come in nessun altro luogo al mondo, di una cosa del genere non si sentiva proprio il bisogno.

Date i premi a chi volete, mescolate come vi pare i vostri interessi (accademici, poetici, economici) ma almeno fate in modo, mentre gettate dalla finestra ogni credibilità, di non buttar via con essa (con quell’acqua sporca) anche il bambino (la poesia).

Noi scriviamo ‘libri di poesia’ e gradiremmo che se ne tenesse conto. Libri interi, con un inizio e una fine, dove, come in un romanzo, tout se tient. Pensate davvero che i nostri giovani non siano in grado di reggere la lettura di un intero libro di poesia sino alla fine? Proprio voi, che gestite un premio di poesia con una sezione dedicata ai giovani? O invece ritenete che un libro di poesia sia un insieme casuale di testi, una carpetta lirica con una bella copertina dove ficcare tutte queste buffe frasi che vanno a capo?

Va bene tutto, ma che sia un premio di poesia (che si autonomina come il più importante della nazione, sin dalla sua prima edizione, in virtù della forza mediatica ed economica che lo sostiene e lo propone) a far danno alla poesia lo trovo stupefacente e piuttosto imbarazzante.

[Foto in evidenza tratta dalla pagina ufficiale de Il premio Strega]

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