Il dollaro Usa è in declino? E’ una domanda dettata dalla meraviglia e dalla incredulità visto che, dall’inizio della crisi finanziaria globale, le speculazioni da parte dei consulenti finanziari sulla sua sorte si sono diffuse con l’idea che il crollo del suo status di moneta dominante del mondo possa essere imminente.

La logica sembra coerente: gli Stati Uniti devono affrontare un debito pubblico elevato e crescente, i rischi creati dall’uso non convenzionale e aggressivo delle politiche monetarie da parte della Fed e un marasma politico. Questi fattori potrebbero indurre ad aspettarsi un declino economico, che eroderebbe l’importanza del dollaro. Eppure, si può anche argomentare che la crisi finanziaria abbia di fatto rafforzato la posizione del dollaro come deposito di valore predominante nel mondo. È vero, il suo ruolo come moneta di scambio potrebbe calare nel tempo. I mercati finanziari e gli sviluppi tecnologici stanno facilitando l’attuazione di transazioni internazionali in altre valute. Ma gli asset finanziari denominati in dollari, specialmente i titoli del governo Usa, sono ancora la destinazione preferita da parte di investitori desiderosi di salvaguardare i propri investimenti.

Come può essere che la crisi finanziaria, che ha avuto il suo epicentro negli Stati Uniti, possa avere l’effetto di rafforzare la presa del dollaro sulla finanza globale? Perché è aumentata la domanda di asset sicuri, anche se la loro offerta nel resto del mondo è calata. Ha reso l’America il fornitore dominante.

Il dollaro statunitense continua a confermare la sua egemonia semplicemente perché in giro non c’è niente di meglio. Cosa si può comprare al suo posto? L’euro, la cui valutazione da un anno ormai (e dopo circa venti anni) è stata superata da quella del dollaro e con il vecchio continente alle prese con la guerra in Ucraina e la crisi energetica? La sterlina britannica, che dopo la Brexit non se la passa meglio? Lo yen, in caduta libera per effetto di una politica della banca centrale impegnata in operazioni finanziare tese a indebolire la sua valuta? Lo yuan cinese, quando la Cina sprofonda nella crisi immobiliare e rappresenta un grande rischio geoeconomico? O il bitcoin, volatile come una startup tecnologica quotata al Nasdaq?

I titoli di Stato di molte altre economie, come l’Eurozona, il Giappone e la Gran Bretagna appaiono più incerti nella situazione che si è creata dopo la crisi finanziaria. Le economie emergenti hanno un incentivo più forte che mai all’accumulo di riserve in divise estere per isolarsi rispetto alle conseguenze di flussi volatili di capitali. Le prospettive per la divisa americana appaiono, quindi, anche migliori quando viene posta una domanda di fondo: se non il dollaro, cosa?

Eppure siamo ingannati da una trappola che ci fa immaginare un equilibrio instabile con grandi rischi per l’economia globale. La “trappola del dollaro” ci fa immaginare diversi scenari di situazioni estreme che potrebbero far precipitare la valutazione della moneta statunitense. Ma, a ben guardare, si tratta di scenari che produrrebbero conseguenze dannose per ogni singolo Paese di questo mondo. La stessa paura delle devastazioni che ciò porterebbe è paradossalmente stabilizzante. Tutto ciò ha implicazioni importanti per le imprese. Gli imprenditori dovrebbero attendersi che gli scambi e le transazioni finanziare vengano sempre più intermediati nelle valute dei Paesi interessati anziché in dollari. Con l’aumento della volatilità dei flussi di capitale e delle valute, coprirsi rispetto all’esposizione in valute multiple diventerà sempre più importante.

Per gli imprenditori del vecchio continente, la debolezza dell’euro rispetto al dollaro ha in teoria implicazioni sia positive che negative. Da una parte, diventa più facile esportare le nostre merci, dato che il prezzo percepito dai consumatori all’estero è più basso. Potrebbe, per esempio, giovarne il settore del turismo, dato che per i viaggiatori americani le mete europee saranno meno costose rispetto agli ultimi anni. Allo stesso modo, però, diventa più costoso viaggiare o acquistare beni dagli Stati Uniti.

L’attuale inflazione rischia tuttavia di annullare i benefici della situazione e di accentuarne gli aspetti negativi. I rincari sulle materie prime provocano infatti un aumento dei costi di produzione per le imprese, che rischiano di non essere compensati dall’aumento in esportazioni. Allo stesso tempo, l’inflazione rischia di aumentare ulteriormente i prezzi dei beni statunitensi per i consumatori europei.

Non solo: dovremmo anche attenderci di vedere il valore del dollaro riprendere a declinare rispetto alle monete di economie emergenti a causa dei differenziali nella crescita della produttività tra gli Stati Uniti e queste economie. Ma non aspettatevi un declino del predominio del dollaro. Soprattutto per il desiderio di un’alternativa migliore, resterà ancora a lungo la valuta di riserva dominante.