Felipe Massa vuole a tavolino il titolo di campione del mondo di Formula Uno del 2008, perso in pista per un solo punto, all’ultimo giro dell’ultimo gran premio, a favore di Lewis Hamilton. L’arma del brasiliano si chiama Crashgate, come è stata ribattezzata la frode sportiva perpetrata nel corso del GP Singapore di quell’anno. Massa ha reso note le proprie intenzioni attraverso l’invio alla Federazione Internazionale dell’Automobile (FIA) di una lettera nella quale illustra la situazione ed esplicita le proprie intenzioni, attendendo una risposta entro il 15 ottobre. Scaduti i termini di questo ricorso gerarchico, il passo successivo sarà l’avvio di una controversia legale a carattere internazionale di stampo civilistico contro la FIA e, in maniera secondaria, Liberty Media, pur non essendo ancora chiaro in quale veste si presenterà quest’ultima, in quanto al momento dei fatti il ruolo di promoter del Circus della F1 era appannaggio della sua predecessora, la Fom.

La vicenda si presenta piuttosto ingarbugliata, a dispetto di quanto viene raccontato da parte dei media italiani, i quali, essendoci di mezzo un ferrarista (ma non la Ferrari, come vedremo), si sono partigianamente e acriticamente schierati con Massa, proponendo talvolta paragoni che poco hanno a che vedere con la controversa situazione del Crashgate. In primo luogo, però, è necessario un rapido riepilogo dei fatti. Nel corso del GP di Singapore 2008 dal box della Renault partì l’ordine all’indirizzo di Nelson Piquet Jr. di schiantarsi deliberatamente contro le barriere per favorire l’ingresso della safety car e avvantaggiare così la rimonta del compagno di squadra Fernando Alonso, che alla fine vincerà la gara. Un imbroglio del quale ci sono stati due rei confessi: la “vittima” Piquet Jr. e l’allora direttore tecnico della Renault Pat Symonds, con quest’ultimo che grazie all’ammissione di colpa se l’è cavata con una squalifica dal Circus (per cinque anni) anziché con la radiazione, come toccato invece al team principal Flavio Briatore. Il quale nel 2010 ne otterrà la cancellazione dal Tribunal de Grande Instance di Parigi, ma solo per aspetti procedurali. Il succo insomma non cambia.

A conoscenza dell’avvenuto imbroglio era però anche l’ex patron della F1 Bernie Ecclestone, come da lui stesso dichiarato lo scorso marzo alla testata F1-Insider, in ritardo di soli quindici anni rispetto al fattaccio. All’epoca nessuno della FIA intervenne, probabilmente per evitare un nuovo scandalo dopo quello dello spionaggio della McLaren ai danni della Ferrari che era costato al team di Woking l’azzeramento dei punti nella classifica costruttori – una sanzione nemmeno pesantissima, ma la mano leggera con i team che non rispettano le regole (si vedano i recenti casi della Red Bull e lo sforamento del budget cap o della Ferrari e le motorizzazioni irregolari del campionato 2019) è sempre stato un tratto distintivo della FIA. O forse perché era coinvolto un socio in affari di Ecclestone, ovvero Briatore, dal 2007 al 2011 co-proprietario del 66% delle azioni del Queens Park Rangers, per quello che era uno dei tanti conflitti di interessi nel mondo della F1.

Il Crashgate è stato un imbroglio aberrante per il quale i responsabili avrebbero meritato la radiazione dal Circus, invece con il tempo sono tutti rientrati nel giro. Ma la cosa ancora più sconvolgente è che si è trattata di una truffa fine a sé stessa, non finalizzata alla vittoria di alcun trofeo. Perché nel campionato 2008, a quattro gare dalla fine, la Renault non era in corsa per nulla. Il mondiale era ormai un affare tra la McLaren di Hamilton e la Ferrari di Massa, con il team francese che invece aveva fallito nel fornire a Fernando Alonso, avvelenato dall’esperienza in McLaren e desideroso di rivincita, una monoposto competitiva, tanto che a Singapore lo spagnolo si era presentato con un imbarazzante bottino di zero podi (uno invece quello conquistato dal compagno Piquet Jr.). Il vero nodo della questione Massa, però, è che non esiste una correlazione diretta tra la frode e il titolo vinto.

La McLaren di Hamilton è stata vittima del Crashgate tanto quanto la Ferrari di Massa e tutte le altre scuderie. Risultano pertanto fuori luogo i paralleli letti in tempi recenti con altri casi di frode sportiva (Lance Armstrong, Marion Jones, Calciopoli) che hanno portato a un ribaltamento a tavolino del risultato sportivo. In questo caso chi ha vinto non coincide con l’autore dell’imbroglio. Il beneficio ottenuto non dipende da un rapporto causa-effetto diretto ma è stato determinato dai risultati di gara. In quel famigerato Singapore 2008 Hamilton si classificò terzo mentre Massa finì fuori dalla zona punti, penalizzato da un pit-stop nel quale il brasiliano ripartì con la pompa per il rifornimento rimasta attaccata alla sua monoposto. La gara successiva, in Giappone, toccò invece all’inglese non raccogliere punti, con Massa che però non andò oltre il settimo posto. Poi il podio per entrambi in Cina, prima dell’arcinoto epilogo di Interlagos, con Hamilton che vinse il titolo per un solo punto. Una classifica che sarebbe cambiata se fosse stato annullato il GP di Singapore, come chiede oggi Massa. Suona un po’ come riparare un torto con un altro torto. Poi, ovviamente, per il tifoso contano solo le ingiustizie subite dalla propria squadra o dai propri beniamini.

Senza dubbio il Crashgate è un ginepraio dove si incrociano ambiti sportivi e procedurali, magistratura ordinaria e autorità federali, team di avvocati di livello internazionali e poteri forti di vario genere e natura. Un bubbone dal quale la Ferrari si è sempre tenuta alla larga, restando silenziosa. Nel suo caso il danno derivante dal Crashgate è stato minore, o forse proprio inesistente, in termini economici, perché il titolo costruttori 2008 è stato comunque vinto dal team di Maranello. Inoltre vanno considerati i delicati equilibri nei rapporti con FIA e Liberty Media. Come detto, la Federazione è spesso stata conciliante con le scuderie quando sono stati superati i limiti, e potrebbe risultare imbarazzante per la Ferrari schierarsi con decisione a favore di Massa. Una situazione ancora peggiore è quella di Hamilton, da un lato personaggio di riferimento della F1 per tutte le questioni etiche e morali, dall’inclusività all’equità di trattamento, dall’altro potenziale danneggiato da una causa che potrebbe sfilargli un titolo vinto in pista e, soprattutto, in totale buona fede.

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