Loris D’Ambrosio non è una vittima del dovere. Lo ha deciso il plenum del Csm, confermando la decisione assunta dalla quarta commissione di Palazzo dei Marescialli sull’ex consigliere giuridico di Giorgio Napolitano al Quirinale, stroncato da un infarto nel 2012. La delibera approvata dal Consiglio ritiene ”insussistenti i presupposti” per il riconoscimento dello status di ”vittima del dovere” per D’Ambrosio, non accogliendo la sollecitazione rivolta dai familiari al ministero della Giustizia nel 2017.

Dalla decisione del Csm si è dissociata la presidente della Cassazione, Margherita Cassano. “Loris d’Ambrosio – ha detto – nell’ultimo periodo di servizio prestato presso il Quirinale è stato esposto ad un’inaccettabile gogna mediatica rivolta di fatto al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. E’stato il garante della stabilità delle istituzioni democratiche nel momento in cui si poneva il problema di intercettazioni telefoniche in cui era coinvolto il presidente”. Praticamente Cassano si riferisce agli articoli di stampa (molti dei quali del Fatto Quotidiano) che raccontavano come D’Ambrosio fosse stato intercettato più volte mentre parlava al telefono con Nicola Mancino, indagato dai pm di Palermo per falsa testimonianza nell’ambito dell’inchiesta sulla cosiddetta Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra. Gli articoli erano notizie di cronaca non una “gogna mediatica” come sostenuto dalla presidente della Cassazione. E infatti in relazione a quelle intercettazioni D’Ambrosio era stato sentito due volte dai pm siciliani come persona informata sui fatti.

Al telefono col consigliere del Quirinale Mancino si lamentava del trattamento ricevuto da parte della procura. In un colloquio con il Fatto quotidiano D’Ambrosio aveva spiegato di aver ricevuto molte chiamate e lettere da Mancino e di averlo ascoltato perché si trattava comunque di un ex presidente del Senato. In quelle conversazioni Mancino si definiva “un uomo solo”. Ma l’ex ministro della Dc non telefonava solo a D’Ambrosio: per quattro volte la procura lo aveva intercettato mentre era al telefono direttamente con Napolitano. Ascolti che per la procura erano privi di interesse e di rilevanza penale. Nell’estate del 2012 il Quirinale aveva comunque sollevato un conflitto di attribuzione contro la procura davanti alla Corte Costituzionale, ottenendo in seguito l’immediata distruzione di quelle registrazioni, senza passare dunque da un’udienza stralcio in cui sarebbero stati presenti gli avvocati delle parti in causa, come prevede il codice di procedura penale.

Magistrato di lunga esperienza, pm a Roma negli anni del terrorismo e della Banda della Magliana, D’Ambrosio aveva lavorato anche al Ministero della Giustizia, all’epoca in cui Giovanni Falcone era direttore degli Affari Penali. In via Arenula era stato anche capo di gabinetto di quattro guardasigilli, prima di essere chiamato al Quirinale da Carlo Azeglio Ciampi come consigliere giuridico. Incarico che gli era stato confermato anche da Napolitano. Colpito da un infarto il 26 luglio del 2012, all’epoca Napolitano si scagliò contro quella che definì “una campagna violenta e irresponsabile di insinuazioni e di escogitazioni ingiuriose“. Il riferimento era per quella presunta “gogna mediatica” citata oggi al Csm dalla presidente della Cassazione.

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