Il Presidente ha risposto senza rispondere. Il portavoce del Capo dello Stato Pasquale Cascella ieri ha spedito una lettera protocollata al direttore del Fatto. “Caro direttore”, scrive Cascella, “con riferimento all’articolo ‘Presidente risponda su Mancino’ firmato da Marco Lillo, si osserva che, come è naturale, il Presidente della Repubblica non ha da rilasciare commenti, né tanto meno conferme o smentite, in merito a frammenti di conversazioni private intercettate dalla polizia giudiziaria e pubblicate da alcuni quotidiani. Ogni eventuale approfondimento è riservato all’autorità giudiziaria competente, secondo le modalità e con le garanzie previste dall’ordinamento giuridico”.
Ieri, Il Fatto aveva chiesto al Presidente di smentire e censurare le parole del suo consigliere giuridico Loris D’Ambrosio su due questioni non secondarie: 1) il suggerimento del presidente Napolitano a Nicola Mancino (girato via telefono dal consigliere Loris D’Ambrosio) di parlare con Claudio Martelli, in vista di un possibile confronto in tribunale tra i due ex ministri che avevano offerto versioni divergenti sui fatti del 1992; 2) i tentativi del consigliere D’Ambrosio di trovare una strada per intervenire sul collegio giudicante e sui pm di Palermo, mediante il procuratore nazionale antimafia. Il Presidente ha scelto di non censurare le affermazioni di D’Ambrosio che da un lato attribuiscono al Capo dello Stato suggerimenti poco commendevoli e dall’altro manifestano propositi di intervento sui pm e giudici in un processo in corso. In tal modo, il presidente continua a legare il suo destino a quello di un consigliere che lo tira in ballo pesantemente nelle sue conversazioni scriteriate con Mancino. Dalla prosa burocratica del portavoce del Presidente emergono tre alibi alla mancata replica: 1) sono conversazioni private; 2) sono solo frammenti di telefonate; 3) solo l’autorità giudiziaria se ne deve occupare.
Per sgombrare il campo dalle prime due obiezioni il Fatto pubblica oggi sul suo sito le conversazioni integrali in modo che il Presidente possa rendersi conto che non si tratta di frammenti e che di privato non hanno proprio nulla. Quanto alla terza obiezione, continuiamo a pensare che anche il Presidente della Repubblica dovrebbe rispondere del suo comportamento, di quello del suo staff, e delle conversazioni telefoniche nelle quali i suoi collaboratori spendono il suo nome, non all’autorità giudiziaria ma all’opinione pubblica, l’unica che può giudicarlo senza lo scudo dell’immunità.
da Il Fatto Quotidiano del 23 giugno 2012
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