In questi giorni di immenso, tragico dolore è importante e necessario parlare con parole chiare, con fatti e non con sentimentalismi e scontate prese di posizione tipiche di chi di Medio Oriente si intende poco. In questi ultimi 15 anni il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu non considerava Hamas un nemico crudele e spietato; egli ha usato Hamas nella sua politica sciagurata di rapporti fra Israele e i palestinesi. Nel marzo 2019 dichiarava: “Chi non vuole la nascita di uno Stato Palestinese deve rinforzare Hamas e indebolire l’Autorità Palestinese; deve creare un atteggiamento diverso tra i territori amministrati dall’Autorità Palestinese e la Striscia di Gaza”.

La logica di questa ideologia è che un’organizzazione violenta e fondamentalista come Hamas non avrà mai l’appoggio internazionale, né il riconoscimento mondiale che ha l’Autorità Palestinese. Se fai crescere l’importanza dell’organizzazione islamica fondamentalista come rappresentante del popolo palestinese, di conseguenza allontani la possibile nascita di uno stato palestinese, che avrebbe, ad esempio, Abu Mazen come presidente.

Il premier israeliano non si è limitato alle dichiarazioni, ma nell’ultimo decennio ha permesso il passaggio di miliardi di dollari dal Qatar a Hamas, soldi che certo non sono andati alle scuole, agli ospedali o migliorare la vita degli abitanti della Striscia di Gaza. Fino a quest’ultimo sciagurato sabato si è creata una dinamica in cui l’organizzazione musulmana lanciava missili sulle città israeliane, l’esercito israeliano rispondeva causando tanta distruzione, ma la risposta israeliana non ha mai mirato alla distruzione del potere bellico di Hamas e della Jihad islamica nella striscia di Gaza. La retorica del premier israeliano è sempre stata molto decisa, piena di promesse come “elimineremo Hamas”, “distruggeremo Gaza”, ma i fatti sono altri. Per non dover negoziare con l’Autorità Palestinese, per non dover mettere fine all’occupazione più lunga del mondo moderno, Netanyahu ha preferito Mohammed Deif ad Abu Mazen e agli altri moderati palestinesi.

Nelle ultime quaranta settimane, caratterizzate dalla nascita di un governo israeliano di estrema destra, il premier israeliano ha tentato un golpe giudiziario vero e proprio insieme agli estremisti della sua coalizione. Questo radicale cambiamento giuridico ha come scopo il passaggio di Israele da una democrazia, magari zoppicante, a una dittatura di tipo ungherese. Il premier israeliano è stato rinviato a giudizio per tre capi di imputazione legati a diversi atti di grave corruzione: questa sedicente riforma, come la definiscono i suoi seguaci, ha lo scopo di creare una situazione dove il potere politico dell’estrema destra israeliana potrà nominare i giudici anche della Corte Suprema, in poche parole salvare il premier dall’esito dei suoi processi.

A questo piano si sono opposti ogni sabato centinaia di migliaia di israeliani, anche piloti, comandanti di truppe di unità speciale, il cyber dell’intelligence israeliana e tante componenti fondamentali per l’esercito. In questi mesi in molti hanno detto a Netanyahu – dal ministro della Difesa al capo di Stato Maggiore, da ex capi del Mossad a grandi esperti strategici – che la sua riforma indebolisce Israele, la sua sicurezza e il suo esercito. Addirittura si è rilevato che anche l’Egitto avrebbe avvertito Israele sul fatto che Hamas stesse preparando un grande attacco. Il premier ha fatto finta che questi moniti non lo riguardassero, si è persino permesso di non ascoltare, di non ricevere il capo di Stato Maggiore che lo voleva informare sui pericoli che questa riforma portava alla difesa dello stato e dei suoi cittadini.

Questo era in Israele il clima che ha preceduto il 7 ottobre 2023, il giorno del più grande massacro che lo stato abbia mai subito. Ci sono tante cose da chiarire sull’assalto di Hamas: alcune richiedono una commissione d’inchiesta, alcune sono abbastanza chiare. Ad esempio, numerose truppe e mezzi blindati che dovevano essere presenti al confine con la Striscia sono stati spostati nei territori occupati per difendere gli insediamenti dei coloni, coloni che hanno nell’attuale governo Netanyahu due rappresentati di estrema destra: Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich. È per loro specifica richiesta che l’esercito israeliano si è concentrato in queste ultime 40 settimane in difesa dei coloni, anche di luoghi non autorizzati del proprio governo israeliano.

Passiamo a Hamas, un’organizzazione islamica fondamentalista e panaraba per niente interessata alla nascita di uno stato palestinese accanto a Israele. Le cose fatte da Hamas in quell’orrendo sabato ricordano comportamenti nazisti e certo non atti di nobile lotta per l’indipendenza. Chi sgozza bambini, violenta e ammazza donne, brucia case con dentro famiglie intere, rapisce neonati e nonne macchia il popolo palestinese di crimini contro l’umanità. Se quel sabato avesse incontrato dei cristiani, Hamas avrebbe fatto lo stesso identico massacro perché i deliri politici di questa falange neonazista sono religiosi, non c’entra la soluzione politica della nascita di uno stato palestinese libero e democratico accanto allo stato di Israele, che io auguro molto.

Il sabato che ha visto la morte di 1.200 persone e 2.000 feriti è il giorno che metterà fine al governo Netanyahu e dei suoi alleati di estrema destra. Il premier israeliano, che si ritiene molto intelligente e sapiente nelle cose di lotta al terrorismo, tenterà un’invasione via terra come vendetta contro Hamas e Jihad islamica. Mi auguro che questo errore non verrà commesso, morirebbero migliaia di civili abitanti nella Striscia, centinaia di soldati e la tragedia avrà un seguito evitabile. Hamas ha rapito 150 civili ebrei e non: la cosa da fare adesso è liberarli, non angosciare per mesi famiglie che hanno già perso figli, madri e padri.

Il popolo palestinese deve capire che Hamas non può rappresentare il suo diritto ad uno stato perché è un’organizzazione non interessata alla pace, né ha alcuna novità politica che porti alla nascita dello stato palestinese. Hamas e i suoi uomini dovranno essere processati per crimini contro l’umanità, Netanyahu e il suo governo dovranno spiegare a una commissione d’inchiesta – che non nomineranno loro stessi – come tutto questo massacro di civili inermi sia potuto accadere dentro i confini sovrani dello stato di Israele. E per chiudere suggerirei al premier israeliano di buttare nella spazzatura la sua “riforma giuridica”: ha già procurato troppo sangue, danni e tragedie ai cittadini israeliani.