Con la sua manifestazione di sabato scorso, la Cgil ha voluto giustamente rimettere al “centro” i diritti; ma rimettere al centro i diritti vuol dire che, in questi anni, i diritti, per una ragione o per l’altra, sono diventati loro malgrado “eccentrici” (“ekkentros” vuol dire letteralmente “fuori dal centro”).

Per dei diritti fondamentali diventare “eccentrici” significa diventare diritti potestativi subordinati sui quali comandano altre priorità. Cioè diventare dei non diritti.

L’art 32 della Costituzione è l’esempio più imbarazzante di come un diritto “fondamentale” possa diventare un diritto eccentrico. La riduzione dell’art 32 a diritto potestativo prese forma all’inizio degli anni 90, periodo in cui importanti componenti della sinistra cominciarono a pensare che i diritti, in particolare quello alla salute, fossero di fatto con i loro costi un ostacolo allo sviluppo economico.
Più tardi Luis Josserand, un importante giurista francese, addirittura arriverà a parlare di “abuso dei diritti”.

Proprio in quegli anni, il governo Amato, quello del prelievo forzoso, tentò il ritorno alle mutue. Fu proprio la Cgil a fermarlo. Essa raccolse un mare di firme per fare una legge di iniziativa popolare a difesa della sanità pubblica. Sembrava che la sanità rubasse il pane dalla bocca all’economia. E’ quindi in quegli anni che scoppia forte la contraddizione, sino ad ora ancora non rimossa, tra finanza pubblica e diritti. E’ inutile avere dei diritti se poi i diritti non sono finanziati, o avere una sanità pubblica per poi privatizzarla.

Per rimuovere questa contraddizione, sempre in quegli anni, intervenne la Corte Costituzionale che attraverso una serie di sentenze si fece avanti con una mediazione, quella del “contemperamento”. Essa di fatto reinterpretò l’art 32 mettendo due paletti: quello del “ragionevole bilanciamento” tra diritti e risorse e quello della salvaguardia del “nucleo essenziale” dei diritti. Il senso era che le ragioni finanziarie non avrebbero dovuto “assumere un peso assolutamente preponderante tale da comprimere il nucleo essenziale del diritto alla salute”.

Ma si sa che al neoliberismo la sanità pubblica non è mai piaciuta e che se gli dai un dito poi si prende il braccio. La mediazione fu fraintesa. Nessun “ragionevole bilanciamento” fu possibile, le ragioni economiche e finanziarie schiacciarono il “nucleo essenziale” del diritto, dando inizio alla triste storia del diritto alla salute che diventa diritto eccentrico.

Il neoliberismo sdoganato a sinistra era convinto che il diritto dovesse essere compatibile con le risorse per cui le controriforme tirano fuori i denti: sostituirono le Usl con le aziende, aprirono le porte al privato ma soprattutto azzopparono l’art 32. Il risultato è sotto i nostri occhi: la prevenzione delle malattie e degli infortuni sul lavoro non si fa praticamente più, le malattie e gli incidenti sul lavoro continuano a crescere, cresce anche il costo della cura, ma i governi di turno, come dimostra la Nadef appena approvata dal governo, continuano a produrre malattia e a sottofinanziare la sanità spingendo sulla privatizzazione.

Siamo quindi finiti in un vero corto circuito neoliberista dal quale serve urgentemente uscire. La strada indicata dalla Cgil è sicuramente quella giusta, ma senza nasconderci che è una strada tutta in salita. Oggi la salute, per tornare ad essere il diritto fondamentale che è, ha bisogno di una “riforma” per ripensare in primo luogo le controriforme fatte in questi anni.

Per fare questa riforma bisogna cambiare modo di ragionare: per rimettere i diritti al centro oggi dobbiamo fare un accordo, peraltro già previsto dalla 833, tra economia, salute e sanità, chiarendo bene le regole di sostenibilità per reggere tutto. Oggi infatti la parola chiave è sostenibilità. L’errore fatto negli anni 90 fu quello di accettare il terreno neoliberista della compatibilità tra diritti e economia. Compatibilità vuol dire sempre che qualcun si deve adattare a qualcun altro. In genere è il più debole che si deve adattare al più forte. Se il più forte è l’economia, allora tocca alla salute e alla sanità adattarsi.

L’alternativa alla compatibilità è la sostenibilità, intendendo con questo termine semplicemente la definizione degli equilibri tra economia ambiente salute e sanità necessari a tenere in piedi il sistema. Diritti e economia salute e sanità sono sostenibili se sono in equilibrio, quindi se tra loro non ci sono contraddizioni. Ma per creare le giuste condizioni di sostenibilità ci vuole una riforma che ancora è tutta da scrivere. Temo che senza questa riforma l’art 32 resterà sostanzialmente un diritto “eccentrico”.

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