“Ci hanno detto: ‘Diteci quello di cui avete bisogno, lo otterrete'”: secondo fonti israeliane, questo è stato il tono dei primi contatti col Dipartimento della difesa americano; così, si conferma quanto “speciale” sia la relazione tra la superpotenza statunitense e il suo più importante (e più fedele) alleato in Medio Oriente, a prescindere da chi sieda alla Casa Bianca e negli uffici governativi della Knesset. Tra gli anni Settanta e il 2023 Washington ha fornito a Gerusalemme 158 miliardi di dollari, al valore attuale, in assistenza bilaterale e finanziamenti per la difesa; dal 1971 al 2007 Israele ha ricevuto parecchi miliardi di dollari in assistenza finanziaria.

Ma di che cosa ha bisogno e che cosa può ottenere dai suoi alleati Israele? Secondo il segretario di Stato americano Blinken Gerusalemme ha chiesto un’assistenza specifica in aggiunta rispetto a quanto già previsto da accordi precedenti mentre il Paese si prepara a quello che il primo ministro Benjamin Netanyahu ha definito un conflitto lungo e difficile. Sono due aggettivi che in passato hanno fatto venire l’orticaria alle forze della Stella di David ma non solo: stavolta, però, sembra che nessuno intenda nascondere che non sarà né breve né facile. Lo testimonia il fatto che Israele nelle ultime ore ha venduto trenta miliardi di dollari di riserve valutarie per finanziare la guerra e che ha già mobilitato 300mila cittadini che si vanno ad aggiungere a quasi 200mila effettivi già operativi. Le operazioni – in cui Israele dovrebbe impiegare una forza pari a circa due terzi degli effettivi ucraini attuali, riguarderanno un’area di 365 chilometri quadrati, equivalente a quella della seconda più piccola provincia italiana, quella di Prato ma abitata da quasi 2,3 milioni di abitanti, quanto quelli della provincia di Torino, la quarta più popolosa, circa 50mila miliziani di Hamas e altre organizzazioni terroristiche. Per questo, l’artiglieria di Gerusalemme avrà bisogno, come ci ha ricordato l’esperto di sicurezza israeliano Lion Udler, di missili aria terra precisi perché a Gaza verranno utilizzati in un’area densamente abitata e Israele non può permettersi di usare deliberatamente armi “stupide” facendo inutili stragi di civili. Pochi sanno che Israele – a differenza di quanto fanno i russi ma anche la maggior parte degli occidentali – avvertono con congruo anticipo gli occupanti degli edifici a uso promiscuo, civile e militare, o le abitazioni dei terroristi prima di colpirle.

Sono già presenti nel territorio israeliano sei depositi di munizioni e armi americane, poste in luoghi non necessariamente ad uso militare e designate per essere utilizzate anche da Israele in caso di emergenza. Parliamo di circa due miliardi di dollari di materiale. Va detto che il Dipartimento di Stato americano si è rifiutato di dire se l’uso di quelle scorte sia allo studio. In passato, gli Stati Uniti hanno inviato parte di quelle munizioni all’Ucraina per aiutarla a respingere gli invasori russi, ma ne sono rimaste abbastanza per assistere Gerusalemme.

In realtà, l’amministrazione Biden sembra intenzionata a fornire rapidamente alle forze di difesa israeliane attrezzature e risorse, comprese munizioni, anche al di là di queste scorte, tanto è vero che il segretario alla Difesa Lloyd Austin ha affermato che la prima assistenza di sicurezza sarebbe “arriverà nei prossimi giorni”. Insomma, non si tratta solo di aprire gli usci delle misteriose riserve di armi e munizioni.

Si può – ha continuato Udler – immaginare che Israele avrà, prima o poi, bisogno di intercettori per il sistema di difesa aerea Iron Dome. Parla del sistema di difesa aerea a corto raggio terra-aria schierato in diverse parti del Paese per contrastare attacchi missilistici, mortai, proiettili di artiglieria e veicoli aerei senza pilota (UAV) a corto raggio. Il sistema di difesa aerea ha una portata di circa 70 km e dispone di tre componenti centrali che formano un’unità, vale a dire Radar di rilevamento e tracciamento, gestione della battaglia e controllo delle armi e lanciamissili armato con 20 missili Tamir. Detti missili sono di produzione israeliana, ma ci sono missili compatibili e componenti per la produzione dei Tamil che Washington potrebbe agevolmente trasferire con gli aiuti di cui si parla.

Non è da escludere che saranno necessarie anche alcune unità dei Patriot, il principale sistema di difesa terra-aria degli Usa e dei loro alleati, “ma un po’ meno almeno finché non lanceranno missili a lungo raggio da altri fronti”, cioè dall’Iran. Ricordiamo che Hamas sabato 7 ottobre ha tratto in inganno il sistema con moltissimi razzi lanciati in un breve lasso di tempo e rendendo così difficile per il sistema di controllo intercettare tutti gli obiettivi. Parliamo di cinquemila razzi in soli venti minuti. Oltre al rifornimento di missili intercettori, l’artiglieria israeliana avrà presto “fame” di munizioni di piccolo diametro, proiettili per mitragliatrici per i combattimenti urbani e una maggiore cooperazione nella condivisione di intelligence relativa a potenziali attività militari nel sud del Libano. Proprio questo campo di collaborazione, che non si misura in milioni di dollari, sarà di importanza strategica: in particolare, “l’intelligence in Libano dall’ambasciata a Beirut”, per evitare sorprese da Nord nel breve termine.

È da escludere, almeno nel medio periodo, che l’assistenza militare a Israele influisca sulla capacità americana di continuare a inviare armi all’Ucraina e ai partner della Nato. Fonti dell’amministrazione Biden hanno messo in evidenza come Kiev e Gerusalemme utilizzino sistemi diversi: inoltre, sebbene gli Usa abbiano inviato quantità significative di aiuti militari all’Ucraina, si sono assicurati di averne abbastanza nelle proprie scorte per proteggere se stessi e i loro alleati in caso di necessità. Gli Stati Uniti, poi, si sono tutelati da possibili “vendette” di Hamas e dei suoi sponsor in Libano e Iran spostando il gruppo d’attacco di portaerei Ford, composto da un ponte di aerei da guerra e circa cinquemila marinai, nel Mediterraneo orientale in una dimostrazione di forza intesa ad assistere Israele, ma soprattutto a far sapere di essere pronti, se attaccati, a reagire con grandissima forza. Non è da escludere, infine, che con questa prova muscolare Washington abbia con questo inviato un “telegramma” a Teheran: se interverrete, non ci limiteremo a fornire armi.

email david.rossi.italy@proton.me

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