L’Istituto Superiore di Sanità mette con le spalle al muro la Regione Veneto, accusata da un testimone durante il processo in corso a Vicenza di non aver effettuato l’indagine epidemiologica sulla popolazione interessata dall’inquinamento da Pfas. Nel 2018 tutto era pronto per avviare l’indagine di coorte sugli effetti delle sostanze perfluoroalchiliche contenute negli acquedotti delle province di Vicenza, Verona e Padova. Poi il lavoro scientifico, che sarebbe stato condotto da Iss e Regione, venne bloccato. “Non fu una decisione tecnica”, ha messo a verbale lo scorso giugno il dottor Pietro Comba, già responsabile del Dipartimento di Epidemiologia ambientale dell’Iss, lasciando intendere che evidentemente la responsabilità fu politica. La bozza di convenzione, mai firmata da Iss e Regione, è stata consegnata dal ricercatore ai giudici della corte d’Assise che sta giudicando il management dell’azienda Miteni di Trissino, ritenuta responsabile dello sversamento di prodotti che hanno compromesso la falda di mezzo Veneto. Era la prova che il progetto si era arenato, ma non per scelta delle strutture tecniche che avevano lavorato per quasi un anno, organizzando anche un convegno internazionale per porre le premesse dell’analisi epidemiologica che avrebbe fotografato storicamente gli effetti dei Pfas sull’organismo umano.

La svolta, rimasta finora riservata nei palazzi veneziani, è arrivata un paio di settimane fa. A fine settembre il direttore generale della Sanità del Veneto, Massimo Annicchiarico, ha scritto a Roberto Toniolo, direttore generale di Azienda Zero, il potente braccio operativo della Regione in materia di sanità. Per conoscenza, la lettera è stata inviata anche a Marco Martuzzi, direttore del Dipartimento ambiente salute dell’Iss, all’assessore veneta alla sanità Manuela Lanzarin, a Francesca Russo responsabile della Direzione prevenzione, sicurezza alimentare e veterinaria del Veneto. Hanno ricevuto la lettera anche due legali: Giacomo Quarneti dell’Avvocatura regionale e Alberto Berardi dello Studio Pinelli Avvocati di Padova. Quest’ultimo è lo studio fondato da Fabio Pinelli, attuale vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, che per anni si è occupato di affari legali della Regione.

Annichiarico spiega di aver risposto il 3 agosto scorso all’Istituto Superiore di Sanità “circa l’eventuale necessità di approfondimenti di natura epidemiologica sulla popolazione esposta a Pfas”. La lettera era arrivata a Venezia “a seguito della deposizione in sede processuale del dottor Pietro Comba, epidemiologo dell’Iss in quiescenza, che faceva riferimento alla mancata attuazione dello studio epidemiologico di coorte residenziale sulla popolazione esposta a Pfas del 2017”. Quindi è stato l’Istituto a chiedere ragione della circostanza emersa in udienza e che ilfattoquotidiano.it aveva riportato con grande evidenza, pubblicando anche i verbali di trascrizione dell’interrogatorio di Comba a Vicenza. Venezia aveva risposto con “una relazione circa le attività e le valutazioni di carattere epidemiologico implementate dalla Regione del Veneto a partire dal 2013, in collaborazione con anche con altri enti”.

Evidentemente non è bastata. Scrive Annicchiarico. “Come si evince dalla nota, l’Istituto Superiore di Sanità ritiene utile comunque implementare un approfondimento epidemiologico, alla luce delle recenti evidenze e delle nuove molecole in circolazione. Tale approfondimento, condotto sulla base del lavoro già svolto, è ritenuto utile allo sviluppo di conoscenze di cui beneficerebbero le popolazioni locali e non da ultimo il quadro scientifico internazionale”. Cinque anni dopo, in una parola, lo studio mai effettuato è considerato ancora importante non solo per la ricerca scientifica, ma per la popolazione che ha bevuto l’acqua inquinata per decenni. Annicchiarico conclude chiedendo ad Azienda Zero di “condividere con l’Istituto Superiore di Sanità lo studio epidemiologico da condurre e se ne assuma l’effettuazione e il coordinamento”.

La frase smentisce clamorosamente quello che la Regione aveva scritto il 7 agosto scorso in un lungo comunicato: “È palesemente falsa l’affermazione riportata da alcuni quotidiani secondo cui lo ‘screening di massa’ sulla popolazione esposta non sarebbe mai decollato”. Il documento giocava sul fatto che nel 2017 venne avviato un Piano di sorveglianza sanitaria, che è però diverso dall’indagine epidemiologica. L’unico “studio di coorte” effettuato riguardava i dipendenti della ditta Rimar-Miteni, che ha dato avvio a un procedimento penale non ancora concluso. Adesso la Regione dovrà fare quello che non ha fatto cinque anni fa.

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