Su 31 campioni raccolti nelle acque potabili di diversi comuni lombardi, undici (circa il 35%) rivelano la presenza di Pfas, composti poli e perfluoroalchilici, sostanze pericolose utilizzate in industria che, chiamate ‘forever chemicals’ per la loro lunga persistenza nell’ambiente, sono associate a numerosi problemi per la salute, tra cui alcune forme di tumore. E si tratta di campioni per la maggior parte raccolti da fontane pubbliche, spesso in parchi giochi o nei pressi di scuole primarie, dunque in ‘punti sensibili’ per la presenza di bambini. Dopo aver pubblicato, a maggio 2023, i risultati delle analisi eseguite dalle autorità competenti sulla concentrazione di Pfas nell’acqua destinata a uso potabile in Lombardia, Greenpeace fa lo stesso con gli esiti delle analisi condotte in un laboratorio indipendente a cui la stessa ong si è rivolta.

I dati sono raccolti e illustrati nel nuovo rapporto ‘Pfas e acque potabili in Lombardia, i campionamenti di Greenpeace Italia’, raccontato in anteprima per i lettori de ilfattoquotidiano.it. E confermano “criticità in merito alla contaminazione”. Da qui la presentazione di una serie di esposti alle Procure competenti. “Sebbene si tratti di un limitato numero di campioni – spiega la ong – nella maggior parte dei casi, le analisi di Greenpeace Italia sono perfettamente in linea con i dati forniti degli enti pubblici”. Quelli, per intenderci, raccolti dal 2018 e pubblicati a maggio scorso dalla ong dopo una serie di richieste di accesso agli atti inoltrate alle Agenzie di tutela della salute e agli enti gestori delle acque lombarde. Ne era emerso che su quasi il 19% dei 4mila campioni esaminati in questi ultimi anni è stata registrata la presenza di Pfas. Un risultato contestato da Water Alliance, la rete che unisce i gestori regionali e secondo cui “l’acqua che esce dai rubinetti non è pericolosa, grazie ai costanti controlli effettuati”.

Le nuove analisi – “Nella maggior parte dei casi le nostre analisi confermano le criticità già evidenziate nei mesi scorsi” ribadisce a ilfattoquotidiano.it Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia, secondo cui le istituzioni lombarde sono “manchevoli” dal punto di vista “della trasparenza e della condivisione dei dati con la cittadinanza”. I campioni analizzati da un laboratorio indipendente sono stati raccolti tra il 12 e il 18 maggio scorso. “Non si tratta – sottolinea Greenpeace – di un’indagine capillare ed esaustiva come quella che dovrebbero mettere in atto gli enti pubblici preposti ai controlli”. In quattro casi è stata riscontrata una contaminazione da Pfas superiore al limite della Direttiva europea del 2020, ossia 100 nanogrammi per litro: è avvenuto in provincia di Bergamo, a Caravaggio (132 ng/l), dove la società idrica Cogeide nel 2022 aveva già rilevato la presenza di Pfas (190 ng/l) e a Mozzanica, ma anche in quella di Lodi, a Corte Palasio e Crespiatica. Per Greenpeace non c’è dubbio: “Si tratta di concentrazioni che richiedono un intervento immediato – spiega Ungherese – come avvenuto di recente in casi simili in altre regioni italiane”. Lo scorso luglio, per esempio, a Montebello Vicentino, la presenza di valori superiori a 100 nanogrammi per litro ha portato a sospendere per alcuni giorni l’erogazione dell’acqua potabile. Ma i livelli di contaminazione più alti in Lombardia sono stati rilevati a Crespiatica, dove si sono superati i mille nanogrammi per litro. Il Comune era risultato il secondo punto maggiormente contaminato anche nella ‘mappa’ pubblicata a maggio. “Per fare un confronto – racconta la ong – in presenza di concentrazioni analoghe, oltre venti comuni veneti furono inseriti dalla Regione nella cosiddetta ‘area rossa’ e la popolazione fu sottoposta a screening sanitari per verificare l’insorgenza di patologie associate ai Pfas”. Nei restanti sette campioni lombardi risultati contaminati, le analisi hanno evidenziato concentrazioni comprese tra 12 e 54 nanogrammi a litro. In cinque dei sette casi (Capriolo, Somma Lombardo, Mariano Comense, via Civitavecchia e via Cusago a Milano) superiori ai valori più cautelativi per la salute umana vigenti in Danimarca o proposti negli Stati Uniti.

I dati aggiornati di gestore e Ats – Nel report si segnala anche che, ad agosto 2023, il gestore del servizio idrico milanese (MM) e l’Azienda di Tutela della Salute della Città Metropolitana di Milano hanno consegnato, su richiesta di Greenpeace, alcuni dati aggiornati in relazione a cinque punti di campionamento analizzati nel dossier. Il risultato? Ad aprile 2023, l’Ats conferma la contaminazione in via Cusago, nel quartiere Assiano a Milano-ovest (11 nanogrammi per litro come somma di Pfas) e, ben oltre i limiti della direttiva europea (e in linea con i dato di Greenpeace), nei Comuni di Crespiatica e Corte Palasio (Lodi). In un monitoraggio di poche settimane dopo, però, si scende sotto sotto i 100 nanogrammi per litro in entrambi i Comuni. A maggio, anche il gestore MM ha riscontrato ad Assiano un valore di 20 ng/l, come somma di Pfas.

Il monitoraggio e la trasparenza – Come evidenzia l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), però, i Pfas sono sostanze bioaccumulabili in grado di causare effetti negativi sulla salute umana anche a concentrazioni estremamente basse. Eppure in Italia queste sostanze non sono ancora inserite tra i parametri da monitorare nelle acque destinate al consumo umano. Gli enti gestori non sono obbligati a verificarne la presenza negli acquedotti. “Anche nei casi in cui vengono eseguite delle indagini – ribadisce Greenpeace – i parametri di riferimento sono quelli stabiliti dal ministero della Salute nel 2014, che però non sono a tutti gli effetti dei limiti di legge nazionali”. Finora, quindi, è stata effettuata una ricerca discrezionale da parte di gestori e delle Ats, che diventerà obbligatoria solo nei prossimi anni con il recepimento delle Direttiva comunitaria 2184 del 2020. “Per limitare i rischi dei Pfas servono campagne di monitoraggio capillari e periodiche, basate su trasparenza e condivisione dei dati, oltre a interventi concreti per tutelare ambiente e salute dei cittadini” spiega Giuseppe Ungherese. Per questo, Greenpeace Italia chiede “di varare un piano di monitoraggio regionale sulle acque potabili, rendendo disponibili alla collettività gli esiti delle analisi e di garantire il diritto della cittadinanza a disporre di acqua pulita e non contaminata”.

Sei gli esposti in Procura – In seguito alle analisi, Greenpeace Italia ha presentato sei esposti destinati alle Procure lombarde competenti per le province dove sono stati raccolti gli 11 campioni in cui è stata rilevata la presenza di Pfas (Bergamo, Brescia, Como, Milano, Lodi, Varese), chiedendo di “adottare i provvedimenti cautelari necessari ad impedire il protrarsi della somministrazione di acque contenenti Pfas alla popolazione”. Il Dipartimento di Brescia di Arpa Lombardia sta già provvedendo a effettuare ulteriori accertamenti. Nel frattempo, la ong ha promosso una petizione per chiedere al governo, al Parlamento e ai ministeri competenti di varare in tempi brevi un provvedimento che vieti l’uso e la produzione di tutti i Pfas sul territorio nazionale e sollecita la Regione Lombardia “a individuare tutte le fonti inquinanti, al fine di bloccare l’inquinamento all’origine e riconvertire le produzioni industriali che ancora utilizzano queste sostanze”.

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