“Tutto era pronto, poi non se ne fece nulla…”. Chi ha deciso, nel 2018, di non far svolgere lo studio epidemiologico sulla popolazione interessata all’inquinamento da Pfas, le sostanze perfluoroalchiliche prodotte dalla Miteni di Trissino che per alcuni decenni hanno inquinato la falda di tre province del Veneto? La domanda aleggerà fino alla fine del processo per disastro ambientale in corso davanti alla Corte d’Assise di Vicenza, dopo l’accusa choc di Pietro Comba, responsabile del Dipartimento di Epidemiologia ambientale dell’Istituto superiore di sanità nonché consulente dell’accusa.

Comba, sentito in aula come testimone, rispondendo alle domande del pm Hans Roderich Blattner e dell’avvocato di parte civile Matteo Ceruti ha detto che i medici e i tecnici erano pronti ad avviare l’indagine per cercare correlazioni tra i Pfas e gravi patologie, a cominciare dai tumori. Ma quando tutto era pronto per la firma di un accordo tra Regione Veneto e Iss, era arrivato uno stop dalla politica. Sulla base di quella testimonianza e dei verbali, ilfattoquotidiano.it può ricostruire la vera storia dello studio bloccato. Chi ha deciso che l’indagine non andava fatta? Le responsabilità stanno a Venezia o a Roma? Al momento queste risposte non ci sono. Il racconto di Comba è impressionante, perché dimostra come i tecnici avessero lavorato per oltre un anno, preparando lo studio epidemiologico nei dettagli e promuovendo addirittura un convegno internazionale. Non a caso, il testimone ha consegnato ai giudici la copia di un “Accordo di collaborazione”, su carta intestata della Regione Veneto, rimasto nel cassetto.

Le interlocuzioni tra la Regione e l’Iss iniziano nel dicembre 2016, quando il disastro provocato dai Pfas era ormai noto, dopo la scoperta dell’inquinamento degli acquedotti nel Vicentino, nel Veronese e nel Padovano. “Il 12 dicembre 2016 fui chiamato dal presidente dell’Istituto superiore di sanità. Il professor Walter Ricciardi (allora presidente, ndr) mi disse che l’indomani doveva andare a Venezia e che c’era un’ipotesi di avvio di uno studio epidemiologico… Voleva che supportassimo con uno studio idoneo l’insieme di attività già avviate da Iss e Regione Veneto su altre materie, come il monitoraggio delle acque, il monitoraggio ematico…”. A quel punto Comba assume un ruolo di primo piano in un lavoro di ampio respiro. “Alla prima riunione tra me e diversi colleghi della Regione io proposi di far precedere la scrittura di un protocollo di ricerca da un workshop scientifico nel quale avremmo sentito i maggiori esperti della materia dal punto di vista epidemiologico e non solo, compreso il direttore della sezione dell’Agenzia Internazionale per la ricerca sul cancro di Lione e il professor Tony Fletcher, che copriva tutta l’esperienza dello studio C8 (sui Pfos, ndr) americano”. Obiettivo rigoroso e a lunga scadenza. “Con un lavoro abbastanza importante di un paio di mesi, fummo in grado di realizzare il 22-23 febbraio 2017 a Venezia il convegno sulle evidenze scientifiche sulle esposizioni a Pfas nel mondo e nella Regione del Veneto. Cercammo un consenso, nel senso di questo termine nella ricerca scientifica, per un protocollo di ricerca valido e inattaccabile”.

Cosa accadde dopo il convegno? “Ci furono periodiche riunioni per la messa a punto del protocollo. Io ero responsabile di quest’attività per il versante Iss. Questo lavoro andò avanti nella prima metà del 2017. Nel mese di giugno si riunì la conferenza dei ministri dell’Ambiente e della Salute della regione europea dell’Organizzazione mondale della sanità. Emerse un impegno di tutti i 53 Paesi, con un documento firmato anche dal governo italiano, in cui si diceva che nei siti contaminati, in particolare dal punto di vista del suolo, della falda, delle acque superficiali, della catena alimentare, bisognava procedere con dei protocolli di studio validati. Noi riversammo questo dibattito nel lavoro che facevamo con la Regione Veneto”. Tutto sembrava propizio per passare alla fase operativa. “Fino all’estate 2017 ci furono degli incontri con i colleghi della Regione Veneto. Arrivammo a scrivere una proposta di Studio epidemiologico sulla contaminazione da Pfas”. Il dottor Comba spiega in cosa consistesse: “Prevedeva, per l’epidemiologia, una prima parte di analisi geografica, per tutti i Comuni, sia quelli dichiaratamente contaminati, sia quelli coinvolti come entità non contaminata, per un’analisi comparativa degli indicatori epidemiologici principali: mortalità, ospedalizzazioni, incidenza dei tumori come rilevata dai registri, per avere una specie di foto aerea di tutto il territorio. Poi c’era uno studio di coorte…”. Il documento prevedeva anche un cronoprogramma. “Era un lavoro integrato, con un supporto finanziario della Regione di 289.200 euro in tre anni, mentre l’Istituto lo cofinanziava per 252.000 euro. Questo documento, la cui ultima stesura è questa del 2018, era già scritto secondo le regole della Giunta Regionale del Veneto. Io ho questa bozza ed è l’ultimo documento”. Il Pm Blattner ha chiesto a Comba perché non se ne fece nulla. Risposta: “Non ho un’idea, perché non sono più stato coinvolto da questo chepsembrava essere il momento della firma congiunta delle due parti, il professor Ricciardi per l’Istituto e non so chi l’avrebbe firmato da parte della Regione. Non c’è mai più stata alcuna convocazione per noi”.

Le domande dell’avvocato Ceruti hanno completato il quadro. “Ha con sé questo documento con il disegno di studio?”. “Sì”. “Ha anche la bozza di accordo con la Regione Veneto?”. “Sì, sì”. Ceruti insiste: “Lei ha dedicato un grande impegno a questa elaborazione. Ha riferito che non sa le ragioni che hanno portato a non fare questo studio, ma ne avrà parlato con il presidente dell’Iss, con i dirigenti del suo Istituto… che conclusioni ne ha tratto sulla non esecuzione di questo studio?”. “Questa domanda è molto opportuna. La risposta è questa: io sono arrivato al livello… come dire, a interagire con il più alto livello tecnico tanto dell’Istituto, tanto dei colleghi regionali, ma non a livello politico. Cioè io ho avuto tanti incontri, tante riflessioni comuni con i colleghi, con i tecnici, se no questa proposta non sarebbe nata, però la parte politica io non l’ho mai vista o sentita. Non lo so”. “Quindi ritiene da imputare alla parte politica quest’annullamento e non alla parte tecnica?”. Comba, testuale: “Sono in grado di dire che con tutti i tecnici con cui ho parlato abbiamo proposto e discusso e siamo arrivati a un testo che fra di noi era condiviso. Dopo però io non ho avuto appunto contatti, né con l’autorità politica intesa come Ministero della Salute, né con l’autorità politica della Regione”. Ceruti: “Ritiene che ci sia stato un concreto danno alla salute della popolazione, che avrebbe potuto essere verificato da uno studio epidemiologico e un pericolo di effetti tossici per la salute pubblica, in termini di aumento del rischio di patologie correlabili”. Comba: “Sì”.

Ministro della Salute è stata dal 2013 al maggio 2018 Beatrice Lorenzin (governi Letta I, Renzi e Gentiloni). In Regione Veneto il governatore era Luca Zaia, l’assessore alla sanità era Luca Coletto e l’assessore all’ambiente era Giampaolo Bottacin.

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