Ariane Dreyfus, dall’ormai lontana raccolta Un visage effacé (ed. Tarabuste, 1995) fino all’antologia di quest’anno 2023 per Poésie-Gallimard (Nous nous attendons, a cura di F. Delorme), è poeta rimasta fedele a una forma di lirica narrativa, o per meglio dire – con parole sue – segretamente irrigata dagli “stupori splendidi e segreti del romanzo”. Con una apparente ma enigmatica semplicità che può ricordare a volte l’amata Emily Dickinson. Nel campo più recente che latamente chiamiamo del “realismo abitato”, chiaramente orientato al dialogo con i lettori o, come l’autrice preferisce, dichiaratamente “transitivo” (in un’intervista, ebbe a dire del rapporto con l’altro: “Sì, puoi star tranquillo, esisti”), dialogico insomma. E lei infatti ci conferma che ha letto Fortini.

Per questa prima comparsa in italiano – a parte alcune notevoli traduzioni in rete di Viviane Ciampi – abbiamo scelto di concentrare l’attenzione su un’unica sezione de Le dernier livre des enfants (Flammarion, 2016) intitolata “Nocturnes”, a cui seguirà il commiato En quittant la plage, che ci piace leggere quasi come un risvolto (inverso), qui, del famoso A spiaggia non ci sono colori di Pagliarani (“sulla sabbia parla un altro” ecc., ne La ballata di Rudi). I “Notturni”, dunque, insieme descrittivi di impressioni visive-tattili, sempre sull’orlo del turbamento erotico, e musicali come appunto il titolo starebbe a suggerire, dispiegano in versi una “petite promenade du poète” partecipante, per dirla con Dino Campana, insieme protagonista e a distanza o “dietro le vetrate” di altri, comunque sempre in procinto di abbandonarsi al sogno della propria scrittura, “nella prateria degli addormentati”.

Ariane Dreyfus è stata insegnante di lettere nella banlieue parigina. Ha pubblicato una ventina di raccolte di versi, un libro di critica letteraria, innumerevoli contributi in riviste sia cartacee sia in rete. Ha vinto, tra l’altro, il premio dei Découvreurs per L’inhabitable (Flammarion, 2006) nel 2007.

Sul guanciale
Non lo voglio così vicino, né che si faccia male,
Allora gli infilo un foglio sotto le zampe
E subito, finestra aperta,
Lancio il ragno

Anziché la mia faccia, vada a stringere l’erba

Aggrappandovisi, salendo in fretta:
Bisogna agire prima di instellarsi

Ed io, se chiudo gli occhi, se aspetto davvero
Una mano mi rovescerà nella prateria degli addormentati

Aprirei le mani e la bocca molto meglio che volendolo

Tante piccole ferite che non impediscono di vivere
Circolerebbero da sole

Lontano non so

Esse andrebbero

*

Con voi risalita
Una lampadina sottile scende fino alla vasca
L’acqua vi smuove fioca l’infinita nudità

Entrambi incedono, sempre più curvi
Poi si fermano, al minimo movimento d’acqua
Le gambe s’incurvano senza un loro spostamento

Un ginocchio piegato vuole uscire, esita
Torna in acqua
Per lei si è uguali nella materia

Per via delle gocce cadenti dalle rovine
Sulle loro spalle
A volte se ne scostano
Senza che le mani si lascino

Se uno rallenta, l’altra si trova troppo rapida
Si può sempre pensare che si vada verso la morte
Non è questo il pensiero più divorante

Una ad una svaporano
Le stelle delle mani lasciate sulle pietre

I corpi che camminano troveranno senz’altro
Un po’ di giorno che li desidera

*

La luce è giunta, anch’essa vuole
Essere mossa

Si pone sull’acqua.

*

Piccola luna


Molto in alto nella notte

Per un solo minuto, un po’ più chiara

Un ramo pure è là,
Più basso degli altri, più vicino
Lei tace

Che fortuna,
Veder qualcosa che potrei fare
Grazie il ramo.

È così tardi, sto dentro la notte
Divento quasi nulla

È vero che mi son dimenticata di darti da bere?

Come
No, non devi più domandare come
Qualcuno richiedendo di vivere ancora
Ha fatto l’incontro
Del silenzio.

Si fa tardi. Mi ricordo di tutto.

Perché c’è una pagina davanti a me
Non voglio chiudere gli occhi
Se procedo tentoni, se sono lenta abbastanza,
La poesia andrà da qualche parte

Ecco fa un po’ più chiaro adesso

Avrei voluto tendere la mano
Con l’acqua che ti serviva

Ma lui, scostandosi senza vedermi,

Già respira la terra, il muso fiuta
La dolcissima bella freschezza
Già ha nel ventre
Ciò che respira

Va, poesia, vai

* * *

Lasciando la spiaggia
Dalla parte stracciata
Il nastro nero svolazza, si muove in alto sopra il viso
Le sue curve amano il vuoto generoso del cielo
Dove passa pure il vento, con una mano lo trattengo
Il nastro vivo
Lo guardo come me stessa non sono sfinita

Vado avanti ancora un poco, fra un’ora sarà notte
L’inevitabile viottolo ma lì
Nella mia mano s’agita la gioia del nastro nero

Testi tratti da: Le dernier livre des enfants (Flammarion, 2016)

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