Auguri a Jon Fosse che ha vinto il Nobel per la letteratura ma è l’ennesima occasione sprecata, perché si poteva fare meglio. Per esempio, si poteva assegnare ad uno scrittore arabo. Era il 1988 quando Nagib Mahfuz, scrittore egiziano, uno dei più grandi rinnovatori del romanzo e della letteratura araba in generale, vinse il premio Nobel. Dichiarò di “non sapere neanche di essere candidato” e quando in Italia i giornali si interessarono a lui parlarono di “sconosciuto”.

Ma per chi era sconosciuto, Mahfuz? Sicuramente non agli arabi o, almeno, ad un vasto pubblico di lettori, in particolare di lingua inglese. Considerato un maestro del romanzo, Mahfuz influì in maniera eversiva su quelli che erano gli schemi di narrazione e ispirò – e continua – moltissimi scrittori. Quel Nobel, vinto da un autore grandioso e semplicissimo nella sua quotidianità – tutti lo vedevano camminare nel quartiere di Khan al Khalili e si fermavano a parlare con lui -, ha aiutato a vedere il mondo arabo, l’Egitto, in particolare, sotto un prisma differente che è quello della letteratura. Ha fatto scoprire, ad un pubblico italiano che allora – ma meno di oggi – era relegato alla letteratura di mercato, che spesso è fatta da best seller che nulla hanno da dire di duraturo. Ha allargato, quella vittoria, lo sguardo verso sud dicendoci che chi è sconosciuto per noi lo è per una mera questione di “ignoranza”, nel senso di ignorare. Mahfuz, con le traduzioni italiane che seguirono la sua vittoria, aprì alla curiosità il lettore italiano. Il mondo arabo aveva un narratore.

È per questo motivo che oggi avremmo tanta necessità di un premio Nobel per la letteratura che venisse dal mondo arabo. Gli scrittori e le scrittrici sono lì che raccontano i mutamenti, tragici, di una parte del mondo che ci ‘arriva’ male perché relegata alla mera cronaca e alle congetture astratte delle analisi. I giovani e le giovani ragazze, i loro sogni, la realtà differente della quotidianità è espressa in capolavori che meritano attenzione. I nomi sono lì e l’importanza di accendere una luce, di far capire che anche loro, gli arabi, hanno voce in capitolo e sono capaci di raccontarsi a un pubblico diverso è fondamentale. Lo dobbiamo al disastro mediorientale che ha bisogno di trovare la luce, uscendo dalle tenebre della nostra indifferenza.

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