L’incidente di Mestre “non è un problema di guardrail“. Le indagini stanno ancora muovendo i primi passi, ma Matteo Salvini a distanza di poche ore dalla caduta del bus che ha provocato 21 vittime ha già scagionato la protezione del cavalcavia Vempa. Eppure lo stato di quel guardrail è proprio uno dei punti su cui si stanno concentrando gli inquirenti: in un video appare arrugginito e malmesso, tanto che – come emerso dalle dichiarazioni dell’assessore comunale ai Trasporti di Venezia, Renato Borasoera già stato progettato un rifacimento del cavalcavia che prevedeva “un nuovo guard rail e la modifica del parapetto”. Salvini è velocissimo a concludere che l’infrastruttura non c’entra nulla, lui che è ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, mentre già punta il dito contro l’alimentazione elettrica del bus: “È presto per dare commenti – è la consueta premessa ai microfoni di Sky – qualcuno mi dice che le batterie elettriche prendono fuoco più velocemente di altre forme di alimentazione e in un momento in cui si dice che tutto deve essere elettrico uno spunto di riflessione è il caso di farlo”. Eppure, gli studi condotti a livello mondiale smentiscono la teoria del ministro Salvini.

Il procuratore di Venezia Bruno Cherchi parlando dell’incidente del pullman a Mestre ha chiarito quali sono al momento i punti fermi dell’inchiesta: “Sono emersi particolari certi come che l’impatto del pullman è avvenuto una cinquantina di metri prima della rottura del guard rail e della caduta. Sembrerebbe che il pullman si sia accostato al guard rail, lo abbia affiancato per una cinquantina di metri, poi ci sia stata un’ulteriore sterzata quindi l’appoggio verso destra e la caduta“. Queste sono le certezze. Su come il mezzo abbia preso fuoco invece ancora restano dei dubbi: “Non risulta che ci sia stato un incendio nel senso tecnico del termine – chiarisce il procuratore Cherchi – c’è stata una fuoriuscita di gas dalle batterie e su queste stiamo facendo accertamenti”. Insomma, è certo che il bus abbia urtato contro il guard rail e che in un determinato punto la protezione abbia ceduto. Mentre per quanto riguarda le fiamme e il fumo successivi allo schianto, un possibile ruolo delle batterie elettriche è ancora tutto da verificare.

Rispetto alla “riflessione” invocata da Salvini, secondo le statistiche è falso che le auto elettriche prendano fuoco più facilmente rispetto a quelle alimentate a benzina o con altri combustibili. In Italia non vengono raccolti dati al riguardo e probabilmente il leader della Lega non conosce quelli disponibili a livello mondiale. Lo studio più citato è stato condotto dai ricercatori del sito di assicurazioni americano Auto Insurance EZ, che hanno comparato dati sulle vendite e sugli incidenti dal Bureau of Transportation Statistics e dal National Transportation Safety Board. Il risultato è inequivocabile: le auto elettriche hanno un rischio di incendio di 25,1 casi ogni 100mila veicoli venduti, mentre le auto a benzina hanno un rischio di incendio di 1.529,9 casi ogni 100mila. Il primato spetta invece alle auto ibride, che hanno registrato 3.474,5 casi di incendio su 100mila vetture vendute. L’autobus di Mestre però era al 100% elettrico.

Altre conferme arrivano dalla Svezia, dove un’agenzia del ministero della Giustizia ha condotto uno studio relativo al periodo 2018-2022. In questo arco di tempo le auto elettriche nel Paese sono arrivate a essere quasi 611mila, ma sono stati registrati solo 2o casi di incendio all’anno. In Svezia ci sono 4,4 milioni di auto alimentate con altri combustibili e nello stesso periodo hanno preso fuoco in 3.400. Per questo, lo studio conclude chiaramente che “se guardiamo al numero di incendi per auto elettriche e lo confrontiamo con quello di auto alimentate a carburante, ci sono ancora più vetture alimentate da combustibili fossili che bruciano rispetto a quelle alimentate da batterie agli ioni di litio in tutto o in parte”.

Qualcuno potrebbe opinare che gli incendi delle batterie agli ioni di litio sono più rari ma anche più pericolosi: infatti, una volta che hanno preso fuoco, le fiamme sono più difficili da spegnere. Il mezzo della società La Linea spa è però un modello E-12 del colosso cinese Yutong, che è dotato di un sistema che isola la batteria e – secondo l’azienda – “può resistere alla combustione a lungo termine a 1.300 °C per più di 2 ore”. Infatti, come testimoniato sempre dall’assessore Renato Boraso a SkyTg24 nelle ore immediatamente successive alla tragedia, “girava la notizia che il bus avesse preso fuoco ma c’è solo stato un principio di incendio che è stato subito spento”. Poi, come da prassi, il mezzo è stato trasferito in un deposito e tenuto sotto monitoraggio.

Un altro dato che smentisce la teoria del maggiore rischio di incendio per le vetture a batterie elettriche arriva dall’Australia. EV FireSafe è un’azienda patrocinata dal governo che monitora gli incendi delle batterie dei veicoli elettrici: il suo database parte dal 2010 e l’ultimo aggiornamento risale al 30 giugno 2023. Ebbene, EV FireSafe in 13 anni ha registrato appena 393 incendi verificati su circa 30 milioni di veicoli elettrici in circolazione a livello globale. Tradotto in percentuale, hanno preso fuoco lo 0,0013% delle auto elettriche nel pianeta. Una ogni 100mila. Nonostante questi dati, il ministro Salvini a neanche 24 ore dalla tragedia di Mestre è già certo che sulle batterie elettriche sia necessaria una “riflessione“.

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