“La sanità rimane la “cenerentola dell’agenda politica per varie ragioni. In linea con i governi degli ultimi 15 anni, la sanità pubblica non rappresenta affatto una priorità politica neppure per l’attuale esecutivo”. È il giudizio tranchant della Fondazione Gimbe, che commenta i numeri della Nota di aggiornamento al Def notando che “il rapporto spesa sanitaria/Pil precipita dal 6,6% del 2023 al 6,2% nel 2024 e nel 2025, e poi ancora al 6,1% nel 2026″. Contro una media del 7,1% nei Paesi Ue e Ocse. In termini assoluti, “la spesa nel 2024 scende a 132.946 milioni (-1,3%), per poi risalire nel 2025 a 136.701 milioni (+2,8%) e a 138.972 milioni (+1,7%) nel 2026″. Dati che nelle scorse ore hanno messo in allarme i presidenti delle Regioni e stanno scatenando le critiche dei sindacati dei medici e delle opposizioni: dalla segretaria del Pd Elly Schlein a M5s e Azione, tutti hanno deprecato la riduzione dei finanziamenti. Va sottolineato però che in questa fase non è possibile parlare a ragion veduta di tagli al Fondo sanitario nazionale per il prossimo anno e quelli successivi.

I dati contenuti nella Nadef sono infatti – come ogni anno – “a legislazione vigente“. Cioè non tengono conto delle risorse che verranno inserite nella prossima legge di Bilancio. Il ministro alla Salute Orazio Schillaci ha detto in più occasioni che il Fondo sanitario, anche alla luce di un’inflazione annua vicina al 6%, va aumentato di almeno 3-4 miliardi a fronte dei poco più di 2 in più appostati per il 2023. E martedì parlando al Festival delle Regioni e delle Province autonome a Torino ha definito il servizio sanitario nazionale “un patrimonio che va difeso nell’interesse di tutti” destinando risorse “oltre che a pagare meglio gli operatori, a far sì che questi stessi operino per ridurre le liste di attesa”. Solo nelle prossime settimane, con la presentazione della manovra, si saprà se quei fondi arriveranno.

Al momento un confronto con la Nadef 2022 scritta dal governo Draghi, quando alla guida del ministero c’era Roberto Speranza, mostra che le risorse previste all’epoca per la sanità erano inferiori in valori assoluti – 131,7 miliardi contro 134,7 per il 2023 e 128 miliardi contro 132,9 per il 2024 – e praticamente identiche in rapporto al pil: 6,7% (contro 6,6%) nel 2023, 6,2% nel 2024, 6,1% (contro 6,2%) nel 2025. Sempre al netto della manovra, appunto. Il Pd anche allora, nella sua proposta di risoluzione a prima firma Malpezzi, si era detto preoccupato per le riduzioni previste e aveva chiesto “un nuovo patto per la salute per riportare il livello della spesa sanitaria stabilmente al di sopra del 7 per cento del Pil“. Alleanza Verdi-Sinistra a sua volta aveva auspicato un aumento del fondo sanitario nazionale di 10 miliardi di euro in un triennio mentre i 5 Stelle avevano auspicato che si proseguisse “nell’azione di incremento delle risorse da destinare al funzionamento del Servizio sanitario nazionale, sia in termini di risorse finanziarie che professionali”.

Il fatto che per ora non ci siano tagli conclamati non significa che la situazione non sia preoccupante. Il personale sempre più spesso fugge verso la sanità privata costringendo gli ospedali a onerosi pagamenti “a gettone”, la spesa sostenuta di tasca propria dalle famiglie continua a salire e secondo l’Istat ha toccato nel 2021 i 36,5 miliardi nel 2021 (21,8% del totale complessivo), le assicurazioni private prosperano e un 7% di italiani riferisce di rinunciare a cure necessarie per problemi economici o difficoltà di accesso al servizio. Intanto il governo ha deciso di rivedere al ribasso il numero delle case di comunità per l’assistenza territoriale da finanziare con fondi del Pnrr, rinviando quegli investimenti a dopo il 2026 e ipotizzando di coprirli con fondi nazionali ancora da trovare.

Tornando alle valutazioni di Gimbe, la fondazione rileva che per il triennio 2024-2026 la Nadef stima una crescita media annua del Pil nominale del 3,5% “a fronte dell’1,1% di quella della spesa sanitaria, ovvero un investimento che impegna meno di 1/3 della crescita attesa del Pil. Infine, nonostante le dichiarazioni programmatiche sugli stanziamenti 2024-2026 da destinare al personale del SSN, non fa alcun cenno alla graduale abolizione del tetto di spesa per il personale sanitario, priorità assoluta per rilanciare le politiche del capitale umano”.

Per il presidente Nino Cartabellotta “la grave crisi di sostenibilità del SSN non garantisce più alla popolazione equità di accesso alle prestazioni sanitarie con pesanti conseguenze sulla salute delle persone e sull’aumento della spesa privata. A fronte di questo scenario, le stime NaDEF 2023 spingono la sanità pubblica sull’orlo del baratro, confermando che il rilancio del SSN non rappresenta una priorità politica nell’allocazione delle, pur limitate, risorse. Scivolando, lentamente ma inesorabilmente, da un Servizio Sanitario Nazionale basato sulla tutela di un diritto costituzionale, a 21 sistemi sanitari regionali basati sulle regole del libero mercato. E, ignorando, rispetto ad altri paesi, che lo stato di salute e benessere della popolazione condiziona la crescita del Pil: perché chi è malato non produce, non consuma e, spesso, limita anche l’attività lavorativa dei propri familiari”.

I medici attendono la legge di Bilancio per valutare se mobilitarsi: “Se non saranno previsti adeguati investimenti, i medici e i dirigenti sanitari se ne andranno”, avverte il segretario nazionale Anaao Assomed Pierino Di Silverio. “Continueremo ad andar via dagli ospedali come sta già peraltro accadendo, perché non possiamo continuare a lavorare in queste condizioni, con un futuro sempre più incerto. Non è il contratto che risolve i problemi dei medici e dei dirigenti sanitari – prosegue Di Silverio – ma investimenti certi e adeguati e un nuovo modello organizzativo. Ad oggi non vediamo niente di tutto questo”.

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