di Luisa Bizzotto

L’America, la Nasa e l’esplorazione dello spazio sono una cosa sola. Questo è probabilmente intuibile per chiunque abbia visto, anche solo in foto, la navicella dell’Apollo 11 conservata in uno degli Smithsonian a Washington. Dai tempi di Galileo, per gli uomini è importante sapere che cosa si cela dietro l’oscuro mistero dell’universo.

Inizialmente, lo studio degli astri si focalizzava per lo più sulla loro osservazione. Un tempo, infatti, gli asteroidi erano visti come semplici puntini luminosi. Solo successivamente si volle studiare più approfonditamente la struttura di queste “rocce irregolari”. Il primo studio eseguito “da vicino” è stato condotto proprio dalla Nasa nel 1996 e si è concluso nel 2001 con l’atterraggio della sonda Near sull’asteroide Eros.

Ma perché è così interessante studiare queste “pietre giganti”?
In primis, il loro studio potrebbe chiarire il processo per il quale i pianeti sono stati creati. In seguito a questo, la loro comprensione potrebbe disvelare il mistero della formazione della vita sulla Terra.

Ad oggi si festeggia la riuscita di Osiris-Rex, ovvero la missione avviata dalla Nasa nel 2016 denominata Origins, Spectral Interpretation, Resource Identification and Security – Regolith Explorer. L’obiettivo è letteralmente un Touch-And-Go, ovvero una toccata e fuga sulla superficie del corpo celeste. L’asteroide oggetto di studio è chiamato Bennu e lo scopo ultimo è portare a casa nostra campioni da poter “dissezionare” come molecole sotto una lente di ingrandimento.

La scelta della ricerca non è banale: si vuole analizzare un asteroide attivo, ovvero un corpo celeste che rilascia polveri nello spazio. Bennu “perde” dietro di sé centinaia di particelle di anche 10 centimetri, ha un diametro di 492 metri che va ben oltre l’altezza della torre Eiffel e ruota attorno al Sole vicino alla Terra.

Osiris-Rex è atterrata in prossimità della roccia spaziale il 3 dicembre 2018 ed è tornata a casa portando i campioni che è riuscita a prelevare tramite il braccio robotico di cui è dotata. La capsula con i detriti pesa 250 grammi ed è ad oggi conservata presso il Dugway Proving Ground del Ministero della difesa degli Stati Uniti. Il contenitore assieme alla polvere è conservato con un flusso continuo di azoto, utile in questi casi a mantenere l’ambiente pulito e privo di elementi terrestri.
Ora la Nasa è in trepidante attesa del contenuto che verrà estratto, pesato ed analizzato presso il Johnson Space Center di Houston.

Ma la missione non è finita qui. La sonda sta preparando i propri propulsori per una nuova avventura. Il prossimo viaggio è diretto presso l’asteroide Apophis, un corpo celeste che nel 2004 minacciò di abbattersi sulla Terra.

Il suo studio potrebbe dipingere con più precisione lo scenario che si avrebbe nel caso di un possibile impatto con il nostro pianeta. Questo non è l’unico progetto che la Nasa sta portando avanti. Il 25 settembre il rover Perseverance è riuscito a raccogliere il campione numero 22 su Marte. Il contenuto della provetta, denominato Pelican Point, si è rivelato composto da roccia sedimentaria e dovrebbe testimoniare la presenza di un lago nella terra rossa risalente a diversi milioni di anni fa.
Questo, assieme agli atri studi, potrebbe aggiungere un altro tassello al puzzle che rappresenta l’universo e l’origine della vita sulla Terra.

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