“Io giocavo per strada, dove o sei forte o sei scarso…oggi invece sento parlare di quinti, quarti…ma c’amm j a fè, a ‘spesa a l’alimentari?” Il dialetto che si è tentato di trascrivere in maniera non si sa quanto fedele è lucerese ed è parte di una riflessione più ampia di Pietro Gerardo Maiellaro, emblema di quel calcio di strada che produceva talenti, soprannominato “Maradona del Tavoliere” e oggi sessantenne. Già, arriva a 60 oggi Pietro Maiellaro, talento enorme, beniamino praticamente di tutte le piazze in cui ha giocato: “E questa è una cosa bella, vuol dire che qualcosa di buono ho fatto e non solo come calciatore”.

Non che come calciatore abbia fatto poco Maiellaro, anche se c’è chi giura che avrebbe potuto fare molto di più. Trafila classica del ragazzo del sud, o almeno classica per il mondo del calcio di quarant’anni fa: “Giocavo per strada a Lucera io. Quando eravamo proprio fortunati giocavamo in parrocchia. Altrimenti pietre per terra per fare le porte o i giacconi quando faceva freddo e via, si dribblava tutto a partire dalle macchine che passavano. Oggi chi li vede i bambini giocare a pallone per strada? Questi a sei anni sono tutti mini calciatori che il primo giorno di scuola calcio fanno a gara a chi è vestito meglio, pare ‘u’cuncors‘”. E altro che mini calciatore all’epoca di Maiellaro, pure se entravi in prima squadra nel Lucera (ed eri molto forte), proprio non potevi atteggiarti: “Macché. Alla fine dell’allenamento o della partita dovevi prendere le maglie e aiutare il magazziniere a mettere a posto. Figurati oggi a fare una cosa del genere”.

Dal Lucera all’Avellino, agli albori della carriera: “Mi vide Pierpaolo Marino in un amichevole, ma l’Avellino era una società incredibile con talenti fortissimi: Diaz, Barbadillo e poi Tacconi, Vignola, mica era facile? Giocai poco, imparai tanto: mi prese a cuore Salvatore Di Somma, mi ha insegnato tanto…pure andando vicino a tirarmi qualche schiaffo a volte, ma gli devo moltissimo”. Poi Varese, Palermo e soprattutto Taranto dove esplode come centrocampista dai piedi buoni (anche ottimi a dire il vero) attirandosi addosso le attenzioni della Serie A, col Bari disposto a sborsare 2 miliardi per lui nel 1987: “No no aspè, che due miliardi? Erano due miliardi e tre più due giocatori al Taranto, Roselli e Gridelli, una mezz’ala e un terzino, quindi arriviamo a tre miliardi praticamente. Bari è stata la chiusura del cerchio”.

La promozione in A, il gol alla Fiorentina alla prima di campionato, la vittoria della Mitropa e oltre 120 presenze e 30 gol in tutte le competizioni in biancorosso: “Non avevo paura di nulla ormai, e se agli esordi in A con l’Avellino mi fermavo a guardare incantato gli avversari, ricordo Zico ad esempio, pura poesia, all’epoca più erano forti più mi caricavo. Veniva naturale ‘fare il pezzo’ di fronte a tutta quella gente…pure di fronte al più grande di tutti, lui, il Re dei Re, Diego Armando Maradona. Mi voleva nel Napoli, me l’ha detto spesso”. E invece arriva la Fiorentina nel 1991, 4 gol in 26 partite, offuscato dai tanti talenti in rosa e non solo. Un gol al Milan memorabile e una piazza che in ogni caso sente ancora vicina: “Mi aveva preso una società e poi quando sono arrivato c’era tutt’altra gente. Avrei potuto fare di più? Sì, ma per quel poco che ho fatto c’è ancora tanta gente lì che mi vuole bene, che mi chiama”.

Poi il finale di carriera tra Venezia, Cosenza, Palermo e prima di chiudere la carriera tra Benevento, Campobasso e un’esperienza in Messico: “Bellissima come esperienza di vita, volevo imparare un’altra lingua e confrontarmi con un’altra cultura, capitò l’occasione del Tigres e l’ho accettata. Alla fine quando mi allenavo bene non avevo problemi a giocare, sono felicissimo di aver fatto quell’esperienza”. Una carriera di compagni fortissimi, che avrebbero potuto fare molto di più “come Joao Paulo, mamma mia, è vero che ho giocato con gente come Batistuta o Mazinho ma come toccava il pallone Joao Paulo…” e di amici veri incontrati nel calcio. “Caravella su tutti”. E allenatori da ricordare: “Veneranda e poi Catuzzi, Salvemini, Rosati…uomini veri prima che allenatori”.

Un altro calcio, che non c’è più e con quello nuovo che a un genuino come Maiellaro non piace granché: “Oggi devi tenere il lessico, guai se chiami contropiede una ripartenza…pure se poi è un contropiede. E quindi ti trovi a parlare di quinti, quarti, intermezzi con gente che non sa manco che è il pallone. Un macello”. E un nuovo Maiellaro neppure s’intravede: “Mah, mi piace Kvaratskhelia, un talento vero…ma già gli rompono i coglioni, vediamo che ne esce”. Se ne riparlerà tra qualche anno, intanto Maiellaro ne fa sessanta: “Madò, so’sessand’: incredibile”…tipo dribblare una 127 a Lucera e segnare al Milan a San Siro con un pallonetto da 40 metri.

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