“L’abuso d’ufficio non è un reato-spia, è un grave delitto e basta, che ha una frequente connessione con l’agire delle associazioni mafiose. Basta pensare alla descrizione delle condotte associative fatta dall’articolo 416-bis del codice penale per rendersi conto dell’interesse delle mafie a ottenere concessioni e autorizzazioni, o comunque a condizionare la pubblica amministrazione“. È una stroncatura netta quella di Giovanni Melillo, capo della Dna (la Direzione nazionale antimafia), sentito in audizione dalla Commissione Giustizia del Senato a proposito del ddl Nordio sul processo penale, il provvedimento varato dal governo lo scorso giugno che ha come contenuto più importante l’abolizione del reato di abuso d’ufficio. Una fattispecie, sottolinea Melillo, tutt’altro che inutile come sostengono la maggioranza e il centro renzian-calendiano: “Basterebbe leggere il complesso delle relazioni prefettizie e dei decreti che hanno disposto lo scioglimento degli organi elettivi di numerosissime amministrazioni pubbliche per rendersi conto che l’abolizione del delitto di abuso d’ufficio avrebbe diretta incidenza sulle indagini in materia di criminalità organizzata”, dice in videocollegamento con l’organo presieduto dall’ex ministra della Lega Giulia Bongiorno. “Dal punto di vista delle mie funzioni”, è l’allarme, “vi è davvero una specifica preoccupazione per la tenuta delle indagini relative al condizionamento mafioso della pubblica amministrazione, che è materia delicatissima e di grande rilevanza pratica”.

Il magistrato cita anche “un rischio ulteriore già segnalato” da altri prestigiosi addetti ai lavori, in primis l’avvocato Franco Coppi: quello che la cancellazione dell’abuso d’ufficio porti all’espansione del campo di applicazione di reati ben più gravi, quali – per restare nel suo settore – il concorso esterno in associazione mafiosa. “È evidente che di fronte a condotte di pubblici amministratori finalizzate a favorire l’associazione mafiosa – ad esempio il rilascio di permessi di costruire illegittimi per consentire una speculazione edilizia -, se non ci sarà più la possibilità di contestare il delitto d’abuso con aggravante mafiosa, si contesterà direttamente il reato associativo“. Cioè si avrà un effetto contrario a quello desiderato dal centrodestra, che punta a liberare i sindaci dalla presunta “paura della firma”. Dall’altro lato, c’è un profilo di potenziale impunità che deriva dal combinato disposto dell’abrogazione dell’abuso d’ufficio e della riscrittura della fattispecie di traffico di influenze illecite, prevista dallo stesso ddl: nella nuova formulazione, infatti, il traffico d’influenze dovrà essere finalizzato a remunerare il pubblico ufficiale per fargli commettere un reato. Ma nella prassi, nota Melillo, “molto spesso quel reato è l’abuso d’ufficio”. Ne consegue, se il ddl entrasse in vigore così com’è, che “tutti i traffici illeciti finalizzati a commettere un abuso d’ufficio diventerebbero privi di illiceità penale“.

Il procuratore nazionale antimafia si dice “preoccupato” anche dalle novità processuali previste dal ddl, ad esempio l’affidamento a un collegio di tre gip (invece che a uno solo) della decisione sulle richieste di custodia cautelare in carcere. La previsione entrerà in vigore tra due anni e nel frattempo è previsto un aumento di organico, ma “nemmeno tra due anni ci saranno le condizioni perché il sistema possa reggere una norma di questo tipo“, assicura Melillo. Altro punto critico è l’introduzione dell'”interrogatorio di garanzia preventivo” necessario per applicare qualsiasi misura cautelare: l’indagato dovrà essere invitato a presentarsi davanti al gip con almeno cinque giorni di anticipo. Per tentare di scongiurare gli evidenti pericoli di fuga, il ddl prevede che la nuova norma non si applichi alle indagini per i reati più gravi (mafia, terrorismo, violenze sessuali, stalking) o “commessi con l’uso di armi o con altri mezzi di violenza personale”. Ma “il catalogo delle esclusioni”, avverte il capo della Dna, “è gravemente manchevole dal punto di vista delle esigenze di contrasto alla mafia, perché non sono esclusi ad esempio i delitti di riciclaggio, che sono l'”in sè” del crmine organizzato”. Melillo chiede al Parlamento di escludere l’interrogatorio anticipato anche “in materia di cybercrime o attacchi informatici nel perimetro della sicurezza cibernetica nazionale, perché, soprattutto in tempi di confilitti ibridi, subordinare la misura cautelare a un contraddittorio anticipato” significherebbe imporre “gravi limiti di effettività dell’agire giudiziario”.

Non è chiaro, inoltre, quale disciplina si dovrà applicare “nelle ipotesi nelle quali, nell’ambito di uno stesso procedimento, ricorrano sia ipotesi di reato per le quali è necessario l’interrogatorio di garanzia anticipato, sia ipotesi per le quali non è necessario: per esempio se ad alcuni associati è contestata l’importazione e la vendita di sostanze stupefacenti, ad altri il riciclaggio dei profitti dell’associazione”. In una situazione come questa, in teoria, gli accusati di riciclaggio (ma non quelli di traffico di droga) dovrebbero essere avvisati dell’intenzione di arrestarli almeno cinque giorni prima dell’interrogatorio di garanzia, mettendo loro a disposizione le carte dell’accusa (che però contengono anche tutte le indagini svolte sui presunti trafficanti). Manca infatti “una specifica disposizione volta a chiarire che nei casi di reati connessi, la disciplina derogatoria al principio generale dell’interrogatorio di garanzia anticipato si applichi anche ai reati esclusi dal perimetro delle deroghe”. Questa, conclude, “è una necessità che attiene all’efficacia del contrasto alle mafie sia in ambito nazionale che internazionale: è del tutto evidente che la disciplina dell’interrogatorio di garanzia anticipato comporta un rischio di discovery anche sul versante delle indagini che il legislatore medesimo vuole proteggere” dal pericolo di fuga.

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