Il 27 luglio scorso sul caso Open si era espressa la Consulta: “E-mail e Whatsapp sono corrispondenza”. Una decisione in cui veniva certificato che la Procura di Firenze non poteva acquisire, senza preventiva autorizzazione del Senato, messaggi di posta elettronica e Whatsapp del parlamentare, o a lui diretti, conservati in dispositivi elettronici appartenenti a terzi. Sembrava così chiusa la sfida legale tra Matteo Renzi e la procura di Firenze nell’ambito del complesso caso Open e l’inchiesta destinata a sgretolarsi.

A distanza di due mesi i pm fiorentini – che avevano chiesto di processare l’ex presidente del consiglio e altri dieci indagati (compresi i deputati Maria Elena Boschi, e Luca Lotti, l’ex presidente di Open Alberto Bianchi, l’imprenditore Marco Carrai) – hanno chiesto l’autorizzazione a utilizzare mail e chat – che erano già state sequestrate durante l’indagine – aventi come interlocutori il senatore l’ex segretario del Pd e l’ex ministra. Il giudice per l’udienza preliminare, Sara Farini, dovrà decidere se trasmettere la richiesta al Senato e alla Camera dei deputati dopo aver sentito i difensori alla prossima udienza, fissata per il 6 ottobre.

L’udienza con Renzi in aula – L’udienza preliminare è ripresa oggi, davanti al giudice, alla presenza del leader di Italia Viva che non non ha rilasciato dichiarazioni prima di entrare in aula. L’ultima udienza si era svolta il 12 maggio. I pm hanno chiesto l’autorizzazione a procedere anche per il deputato Luca Lotti, ex ministro dello Sport del governo Renzi. L’istanza è stata presentata dal procuratore aggiunto Luca Turco e alla prossima udienza le difese degli imputati potranno presentare al giudice le controdeduzioni alla memoria depositata dalla pubblica accusa. A quel punto il giudice potrà decidere come procedere.

“Per utilizzare un termine calcistico anche oggi 2-0 per noi – ha dichiarato Renzi – Quattro anni fa inviai una lettera al procuratore Luca Turco per chiedere che venisse rispettato l’articolo 68 della Costituzione. Quattro anni dopo la Procura si è accorta che noi avevamo ragione. Ci ha messo quattro anni per arrivare alla medesima conclusione a cui sarebbe potuto arrivare dopo la mia lettera del novembre 2019. Lo Stato avrebbe potuto risparmiare tanti soldi. Chi segue questo processo si rende conto che è in corso una incredibile vittoria della legalità, ma la legalità la stanno portando avanti le difese e non i pm”.

“La procura punta alla prescrizione” – “La procura punta alla prescrizione. Mentre noi vogliamo il processo perché siamo innocenti e abbiamo sempre rispettato la legge – ha detto Matteo Renzi. Ho stretto la mano al pm Turco, sono una persona civile. Deve essere chiaro che non urlo, non faccio polemiche ma faccio ricorsi e li vinco. Sul merito in questo processo la procura di Firenze è stata smentita dalla Corte di Cassazione, dalla Corte Costituzionale, dal Parlamento. E adesso continueremo ad andare avanti lavorando nel procedimento del disciplinare davanti al Csm, nel procedimento a Genova e in questo processo a Firenze. E se ci sarà da discutere in Parlamento sarò ben felice di dare la disponibilità a utilizzare il materiale. Non chiederemo che sia negata l’autorizzazione ma torneremo in aula per ribadire che i pm violano la legalità e la difesa è costretta a chiedere di ripristinare il diritto in questo palazzo”. Vale la pena ricordare che il giudice non può dichiarare la prescrizione se ci sono le prove dell’innocenza di un imputato e quindi tra una sentenza di assoluzione e una di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione, il verdetto del magistrato non può essere che una assoluzione.

L’inchiesta Open – Agli imputati, a vario titolo, vengono contestati il finanziamento illecito, la corruzione, il riciclaggio e il traffico d’influenze. All’interno dell’indagine sono confluiti migliaia di documenti ottenuti dalla procura tramite una serie di perquisizioni e sequestri a carico di alcuni indagati. Tra questi ultimi – è il caso di sottolinearlo – non c’è Renzi, che non ha subito alcuna perquisizione personale. In caso contrario, essendo il leader di Italia Viva un parlamentare, i pm avrebbero dovuto chiedere l’autorizzazione preventiva alla Camera di appartenenza. Diverso il caso dei documenti sequestrati all’imprenditore Carrai, per tre volte la Cassazione ha annullato il provvedimento stabilendo la restituzione del materiale.

Il cuore dell’indagine – L’inchiesta su Open va avanti ormai da anni, da quando nel 2019 la procura delegò alla Guardia di Finanza decine di perquisizioni ai finanziatori della stessa Open in varie città italiane. Secondo i pm la fondazione sarebbe stata una sorta di cassaforte della corrente politica dell’allora segretario del Pdi Matteo Renzi. Donazioni, in certi casi generose, alla fondazione che ha finanziato alcune edizioni della Leopolda e aveva accompagnato l’ex premier durante la scalata alla segreteria del Pd e l’entrata a Palazzo Chigi.

Secondo i magistrati della procura fiorentina la Fondazione Open avrebbe agito come l’articolazione di un partito e tra il 2012 e il 2018 avrebbe ricevuto “in violazione della normativa” sul finanziamento ai partiti circa 3,5 milioni di euro, spesi almeno in parte per sostenere direttamente l’attività politica della corrente renziana del Pd. La Cassazione, che ha annullato più volte i provvedimenti di sequestro dei documenti e del pc di Carrai, considerava non provato che la Fondazione Open agisse come un’articolazione di partito. All’ex premier viene contestato il solo reato di finanziamento illecito ai partiti come direttore “di fatto” della stessa fondazione.

Il ricorso alla Consulta – La Procura di Firenze non aveva alcuna intenzione di perquisire Renzi. Il nome dell’ex premier, però, è saltato fuori in una serie di messaggi Whatsapp conservati nella memoria di cellulari sequestrati a terze persone. Renzi si era rivolto all’allora presidente di Palazzo Madama Elisabetta Casellati sostenendo che i pm avrebbero dovuto chiedere l’autorizzazione parlamentare per sequestrare i dispositivi elettronici di altre persone (non coperte dall’immunità parlamentare) che avevano avuto avuto scambi con lui: una tesi accolta prima dalla Giunta per le immunità e successivamente dall’Aula. Ed è così che si era arrivati alla Consulta. Durante l’indagine era stato sequestrato il cellulare dell’imprenditore Vincenzo Manes ed è lì che c’erano i i messaggi scambiati su Whatsapp in cui si parlava del volo Roma-Washington da 135mila euro pagato dalla fondazione Open.

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