Alla fine i nodi vengono al pettine. Soprattutto i nodi frutto di attività illecite e mafiose. Ci sono voluti quasi due decenni ma ora finalmente a Brescello, comune dove la ‘ndrangheta ha scorrazzato libera di fare e disfare, pare che le leggi dello Stato tornino a valere più di quelle imposte dalla famiglia mafiosa dei Grande Aracri. Un principio nient’affatto scontato, anche quando l’oggetto del contendere sembra essere una piccola cosa, come i mille metri quadri di terreno demaniale abusivamente occupati (secondo i Carabinieri, la procura distrettuale antimafia di Bologna e la procura di Reggio Emilia) in via Breda Vignazzi.

È un’area adiacente e sottostante il cavalcavia della statale 63, alle porte del paese, dove si trovano anche immobili appartenuti alle società della famiglia Grande Aracri, finiti sotto sequestro o confisca grazie alle inchieste Edilpiovra, Aemilia e Grimilde. In quegli immobili dal marzo 2022 ha sede la locale Protezione Civile, grazie a un intervento congiunto delle istituzioni che rappresenta uno dei migliori esempi (purtroppo rari) di riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie.

Il padrone assoluto qui era Francesco Grande Aracri, il fratello del boss Nicolino, cinque anni più vecchio di lui e residente a Brescello da una vita. Dice la procuratrice della Direzione Antimafia Beatrice Ronchi che Francesco, condannato in primo grado nel dicembre 2022 a 19 anni e 6 mesi di reclusione (processo Grimilde), non è solo un simbolo della mafia in regione, ma è proprio “la ‘ndrangheta in Emilia”. Non è mai stata fatta una graduatoria tra i nomi di spicco della cosca cutrese nel distretto emiliano romagnolo, aggiunge il Pubblico Ministero nella requisitoria di Grimilde, ma se si facesse emergerebbe che “Francesco è il vertice massimo e da decenni tesse le fila e detta le strategie della ‘ndrangheta”.

Il colpo di scena degli ultimi giorni è però che sotto accusa, per l’area demaniale abusivamente occupata, finisce ora anche un altro dei numerosi fratelli di Nicolino: Rosario Grande Aracri. Due anni più giovane di Francesco e tre più vecchio di Nicolino, Rosario risiede ora nel paese d’origine in Calabria ma ha vissuto a Cutrello, il quartiere edificato dai mafiosi a Brescello, e non ha mai interrotto i collegamenti con fratelli e sorelle accasati sulle sponde del Po. Era uscito assolto nel 2017 dal processo Pesci, che indagava le attività della cosca sulla riva mantovana del fiume, ed ora si ritrova incastrato dagli accertamenti dei Carabinieri della Compagnia di Guastalla iniziati nel 2021 attorno a quell’area demaniale.

La procura di Reggio Emilia guidata da Gaetano Paci, concordando con le risultanze investigative, ha esercitato l’azione penale e chiesto per lui la citazione in giudizio. Rosario dovrà rispondere dei reati di invasione di terreni, occupazione abusiva, violazione delle disposizioni previste dal testo unico dell’edilizia. Attorno a quei mille metri quadri di suolo demaniale, dicono i Carabinieri, aveva innalzato una recinzione abusiva con muretto in cemento, pali metallici, rete elettrosaldata e per finire un cancello scorrevole su rotaie stile Versailles.

Tutto naturalmente senza alcun diritto, permesso o autorizzazione. Nell’area recintata i carabinieri hanno trovato anche mezzi per lavorazioni nell’edilizia, auto, rimorchi, attrezzi. Il tutto in evidente stato di abbandono. L’area demaniale “occupata” sembra essere una piccola cosa, dicevamo all’inizio, rispetto agli infiniti reati commessi dalla ‘ndrangheta emiliana e portati a giudizio nei processi degli ultimi anni. Ma ora che l’intera zona è stata posta sotto sequestro val la pena fermarsi un attimo a sottolineare quanto quel cancello scorrevole, che sembra bloccare il passaggio ai carabinieri nella foto, sia il simbolo per eccellenza della penetrazione mafiosa in quel territori.

In primo luogo perché ciò che di abusivo è stato realizzato sotto quel ponte non è contestato solo a Rosario Grande Aracri, ma è alla base anche della richiesta di rinvio a giudizio per appartenenza all’organizzazione mafiosa presentata nel giugno scorso dalla DDA di Bologna nei confronti di due ex sindaci di Brescello: Giuseppe Vezzani e Marcello Coffrini. Entrambi figli (uno politicamente, l’altro per natura) del primo cittadino Ermes Coffrini che guidava il comune nel 1992 al tempo degli omicidi e della guerra di mafia per il controllo del territorio.

La prima segnalazione dell’occupazione abusiva dell’area sotto al cavalcavia veniva inviata dalla polizia municipale al sindaco Vezzani nel maggio del 2007, senza che il Comune svolgesse in seguito “alcuna verifica, controllo, intervento, o infliggesse alcuna sanzione”. Nulla venne fatto negli anni seguenti, dice la richiesta di rinvio a giudizio dei due ex sindaci firmata dalla pm Ronchi, nonostante una nuova denuncia del reato presentata dai Carabinieri nel novembre 2013 contro Francesco Grande Aracri e i suoi figli Paolo e Rosita. Nulla venne fatto quando i funzionari della Provincia inoltrarono al Comune una richiesta di rimozione dell’abuso. Entrambi i sindaci chiusero inoltre un occhio, anzi quattro, dal 2007 al 2015, sulla costruzione abusiva che Rosario Grande Aracri e il cognato Francesco Muto avevano innalzato sul confine tra le rispettive proprietà in Strada della Cisa, a poca distanza dal cancello sequestrato ora vicino al cavalcavia.

Per anni la famiglia Grande Aracri ha fatto ciò che ha voluto a Brescello, sul fronte urbanistico ed edilizio, perché qualcuno glielo ha concesso. La stessa famiglia Grande Aracri aveva fatto ciò che le pareva costruendo ville abusive in spregio delle norme e dell’ambiente anche in zone ben più pregiate della Bassa reggiana. A Capocolonna sul mar Ionio, in provincia di Crotone, in un’area protetta adiacente al Parco Archeologico e con divieto assoluto di edificazione, i Grande Aracri avevano costruito abusivamente nei primi anni Novanta cinque fabbricati, intestati ad altrettanti fratelli e sorelle di Nicolino Mano di Gomma. Ci sono voluti trent’anni per arrivare ad abbattere con le ruspe nel 2020 i primi tre di quei cinque manufatti abusivi, riconducibili ai fratelli Francesco, Rosario e Antonio Grande Aracri. Pochi mesi fa infine è stata autorizzata la demolizione anche delle ultime due ville intestate alle sorelle di Nicolino, Maria e Giovanna, entrambe residenti a Brescello.

La richiesta di rinvio a giudizio per i due sindaci di Brescello ricorda che a tutelare gli interessi di fratelli e sorelle Grandi Aracri davanti al Tar di Catanzaro per quelle villette abusive, almeno tra la fine degli anni Novanta e il 2006, fu lo studio legale di Reggio Emilia in cui esercitava la propria attività di avvocato anche il futuro sindaco di Brescello Marcello Coffrini, assieme al padre Ermes, che alloraera il primo cittadino del comune di Peppone e don Camillo. Dove per i Grande Aracri innalzare un cancello abusivo sotto un cavalcavia non era quindi né un rischio né un abuso. Semplicemente un diritto acquisito. Grazie all’autorevolezza del proprio nome e alla compiacenza degli amministratori.

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