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Tommaso Zorzi critica lo scrittore premio Nobel José Saramago: “Frasi molto lunghe e poche virgole…non ama molto la punteggiatura vero?”

Solo che liquidare Saramago come quel tizio eccentrico e un po’ noioso che non mette le virgole o i punti, denota prima di tutto non tanto irriverenza o schiettezza popolare nell’eloquio, bensì crassa ignoranza e disattenzione analitica

di Davide Turrini

Tommaso Zorzi critica il nobel José Saramago. Sì, proprio quel bel ragazzone del Grande Fratello, a cui Maurizio Costanzo aveva pronosticato un avvenire da asso pigliatutto della tv. E poi sì, quel signore portoghese che ha fatto la storia della letteratura e ha vinto anche un Nobel a riguardo. In una storia su Instagram l’ex gieffino (autoproclamatosi “amante della lettura”) ha preso in mano una copia di Cecità, scritto da Saramago nel 1995, e dopo aver precisato ironicamente che sarebbe stata un’altra letturina “easy” ha poi lamentato la mancanza di virgole e i lunghi periodi ideati dallo scrittore portoghese: “Ho letto le prime pagine del libro e devo dire che Saramago non ama molto la punteggiatura vero? Cioè, lui è un premio Nobel per la letteratura, quindi ci mancherebbe, però… frasi molto lunghe e davvero poche virgole”. Per carità, non siamo mica i sacerdoti del tempio. Anzi, a Saramago preferiamo un Roth, un Houellebecq o un Amado per rimanere sulla stessa lingua dello scomodato grande della letteratura (c’è pure un libro spassoso sul rapporto via fax tra Amado e Saramago ossessionati dal Nobel). E all’interno dello stesso corpus letterario ci permettiamo di preferire a Cecità, Storia dell’assedio di Lisbona.

Solo che liquidare Saramago come quel tizio eccentrico e un po’ noioso che non mette le virgole o i punti, denota prima di tutto non tanto irriverenza o schiettezza popolare nell’eloquio, bensì crassa ignoranza e disattenzione analitica. Giacché le peculiarità stilistiche di un autore, viepiù dove queste si manifestano in modo radicale e sistematico, prima di essere messe soggettivamente in discussione vanno oggettivamente comprese e analizzate. Non è per fare il figo o per i like che Saramago ha intrapreso in cinquant’anni di carriera la costruzione certosina di un impervio percorso formale; bensì ha cercato e trovato una sua voce peculiare, una sua lingua non immediatamente accessibile per raccontare, qui nello specifico, e oltretutto, una storia irripetibile di un’epidemia di cecità diffusa ed improvvisa che si fa metafora universale dell’endemica indifferenza e della mancanza di solidarietà tra esseri umani nel mondo occidentale. Insomma, scrivere è un lavoro impegnativo, frutto di talento e inventiva; non pruderie autocelebrativa social un tanto al chilo.

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